Parto dall’aspetto più negativo: il doppiaggio italiano. Il peggiore che abbia mai sentito. Atono, quasi dialettale, per non parlare dei bambini che hanno una cadenza spagnoleggiante. In più i nomi propri vengono italianizzati e così lo zio Charlie diventa lo zio Carlo, e la città di San Francisco diventa San Francesco. Terribile. Io appoggio Lynch quando afferma che i film dovrebbero essere trasmessi in lingua originale con i sottotitoli, nella traduzione si perde molto perché viene inquinata la purezza del film che a volte può essere espressa attraverso dettagli apparentemente insignificanti. E chi meglio di Hitchcock sa dosare i particolari nei film?
L’ombra del dubbio è considerato uno dei suoi lavori più riusciti, ebbe un discreto successo di pubblico ma soprattutto di critica.
Quando parlai de L’Atalante (1934) dissi che bisognava contestualizzare il film nel suo periodo storico, qui bisogna fare la medesima operazione. È necessario calarsi nella middle-class americana degli anni quaranta, nello stato democratico, ricco, bello e forte, ma anche con un lato oscuro fatto di gangsterismo o il razzismo del Ku Klux Klan. Ecco per me Santa Rosa è l’America in miniatura, una ridente città che però nasconde del marcio dentro. E non mi riferisco allo zio Charlie, sarebbe banale, ma al padre ed al suo amico che si trastullano a vicenda ipotizzando possibili attentati omicidi l’uno nei confronti dell’altro. Quindi le parole di Charlie fanno da monito non solo alla nipote ma anche allo spettatore: ”Il mondo è un inferno, un porcile ripugnante.” Forse tornando a Santa Rosa l’assassino di vedove sperava di trovare la pace nel suo nido famigliare, ma ben presto si accorge che la sua diversità non potrà mai essere compresa e tanto meno assolta.
La sceneggiatura è curata da Thornton Wilder con il quale Htich ha lavorato anche a La donna che visse due volte (1958) in cui aleggia la stessa atmosfera funerea e fatale di questo dramma; i dialoghi disegnano bene i vari personaggi, e spicca una saccente bambina che riporterebbe ad un “odio” del Maestro verso i bambini in generale.
A conti fatti però L’ombra del dubbio mi è piaciuto meno di altre sue opere, manca di quel pathos che coinvolge come nel sublime Nodo alla gola (1948) o in La finestra sul cortile (1954), ho riscontrato una certa freddezza, forse voluta, forse no, che mi ha allontanato dalla storia senza catturarmi.
Ma è un film di Hitchcock e quindi sono sicuro di essermi perso tanti di quei particolari che solo con la metà di essi potrei ribaltare il mio giudizio.
L’ombra del dubbio è considerato uno dei suoi lavori più riusciti, ebbe un discreto successo di pubblico ma soprattutto di critica.
Quando parlai de L’Atalante (1934) dissi che bisognava contestualizzare il film nel suo periodo storico, qui bisogna fare la medesima operazione. È necessario calarsi nella middle-class americana degli anni quaranta, nello stato democratico, ricco, bello e forte, ma anche con un lato oscuro fatto di gangsterismo o il razzismo del Ku Klux Klan. Ecco per me Santa Rosa è l’America in miniatura, una ridente città che però nasconde del marcio dentro. E non mi riferisco allo zio Charlie, sarebbe banale, ma al padre ed al suo amico che si trastullano a vicenda ipotizzando possibili attentati omicidi l’uno nei confronti dell’altro. Quindi le parole di Charlie fanno da monito non solo alla nipote ma anche allo spettatore: ”Il mondo è un inferno, un porcile ripugnante.” Forse tornando a Santa Rosa l’assassino di vedove sperava di trovare la pace nel suo nido famigliare, ma ben presto si accorge che la sua diversità non potrà mai essere compresa e tanto meno assolta.
La sceneggiatura è curata da Thornton Wilder con il quale Htich ha lavorato anche a La donna che visse due volte (1958) in cui aleggia la stessa atmosfera funerea e fatale di questo dramma; i dialoghi disegnano bene i vari personaggi, e spicca una saccente bambina che riporterebbe ad un “odio” del Maestro verso i bambini in generale.
A conti fatti però L’ombra del dubbio mi è piaciuto meno di altre sue opere, manca di quel pathos che coinvolge come nel sublime Nodo alla gola (1948) o in La finestra sul cortile (1954), ho riscontrato una certa freddezza, forse voluta, forse no, che mi ha allontanato dalla storia senza catturarmi.
Ma è un film di Hitchcock e quindi sono sicuro di essermi perso tanti di quei particolari che solo con la metà di essi potrei ribaltare il mio giudizio.
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