Se io fossi un regista asiatico ci penserei due volte a girare una pellicola che ha come tema centrale la vendetta. Dopo la trilogia di Park Chan-Wook e Kill Bill, che indirettamente è collegato all’estremo oriente, non è facile riuscire a stupire.
Noboru Iguchi per me non ci ha neanche provato, ha preso una trama da videogioco, ci ha aggiunto litri di sangue, un paio di scolaretti giapponesi, un po’ di Yakuza, qualche citazione (gradita), e basta. Qua il sentimento di vendetta nutrito da Ami non ha alcun spessore psicologico, e questo potrebbe andare benissimo, in fondo neanche in Kill Bill c’è una introspezione accuratissima dei vari personaggi, però tutto il resto è una figata.
In The Machine Girl l’aspetto più importante, quello che riguarda l’azione, è fatto davvero male. I combattimenti a mani nude sono ridicoli, gli attori corrono come nei cartoni animati ed hanno espressioni da manga. Anche qui potrei dire che ci starebbe, in Riki-Oh (1991) accade la stessa cosa, ma quello si capisce che è una gogliardata, Iguchi invece resta in un territorio ibrido; se l’atmosfera da chambara-movie splatteroso è figlia della poca esperienza mi può andare bene, ma se era voluta non mi convince più di tanto perché non gli è riuscita per niente. Ovviamente la sceneggiatura non esiste, i nemici aumentano di pericolosità insieme al tasso di gore col procedere della storia fino ad arrivare al boss finale della Yakuza che in confronto ai mafiosi di Kitano o di Miike sembrano dei rincoglioniti, e a tal proposito il figlio del capo che dovrebbe essere il più cazzuto di tutti sembra uscito dall’asilo da quanto è giovane.
Di positivo c’è l’altissimo livello di splatter che si esplica in fontane emoglobiniche di rara intensità ma che comunque non sono nulla di nuovo. Purtroppo il livello di certi SFX è basso per gli standard dei nostri anni, per esempio la testa che bolle nell’olio è palesemente di gomma (non è che pretendevo una testa vera eh!), oppure il viso chiodato del mafioso, il quale non viene mai inquadrato con un piano americano o con una mezza figura, ma sempre con un primissimo piano della testa-fantoccio in pieno stile trash-horror anni '70. E poi i ninja sono vestiti con delle felpe col cappuccio e basta (sigh), e i loro genitori decisi a vendicarli come dei Power Rangers (doppio sigh).
Però devo ammettere che quando Ami prende in mano, anzi in braccio, la mitragliatrice è una goduria perché scatena il finimondo neanche fosse Jhon Rambo (2008). Sarebbe curioso sapere se Rodriguez si è ispirato ad Iguchi per la tipa con la gamba-fucile nel suo Planet Terror (2007), oppure il contrario, fermo restando che tutti sono debitori all’Ash di Sam Raimi.
Noboru Iguchi per me non ci ha neanche provato, ha preso una trama da videogioco, ci ha aggiunto litri di sangue, un paio di scolaretti giapponesi, un po’ di Yakuza, qualche citazione (gradita), e basta. Qua il sentimento di vendetta nutrito da Ami non ha alcun spessore psicologico, e questo potrebbe andare benissimo, in fondo neanche in Kill Bill c’è una introspezione accuratissima dei vari personaggi, però tutto il resto è una figata.
In The Machine Girl l’aspetto più importante, quello che riguarda l’azione, è fatto davvero male. I combattimenti a mani nude sono ridicoli, gli attori corrono come nei cartoni animati ed hanno espressioni da manga. Anche qui potrei dire che ci starebbe, in Riki-Oh (1991) accade la stessa cosa, ma quello si capisce che è una gogliardata, Iguchi invece resta in un territorio ibrido; se l’atmosfera da chambara-movie splatteroso è figlia della poca esperienza mi può andare bene, ma se era voluta non mi convince più di tanto perché non gli è riuscita per niente. Ovviamente la sceneggiatura non esiste, i nemici aumentano di pericolosità insieme al tasso di gore col procedere della storia fino ad arrivare al boss finale della Yakuza che in confronto ai mafiosi di Kitano o di Miike sembrano dei rincoglioniti, e a tal proposito il figlio del capo che dovrebbe essere il più cazzuto di tutti sembra uscito dall’asilo da quanto è giovane.
Di positivo c’è l’altissimo livello di splatter che si esplica in fontane emoglobiniche di rara intensità ma che comunque non sono nulla di nuovo. Purtroppo il livello di certi SFX è basso per gli standard dei nostri anni, per esempio la testa che bolle nell’olio è palesemente di gomma (non è che pretendevo una testa vera eh!), oppure il viso chiodato del mafioso, il quale non viene mai inquadrato con un piano americano o con una mezza figura, ma sempre con un primissimo piano della testa-fantoccio in pieno stile trash-horror anni '70. E poi i ninja sono vestiti con delle felpe col cappuccio e basta (sigh), e i loro genitori decisi a vendicarli come dei Power Rangers (doppio sigh).
Però devo ammettere che quando Ami prende in mano, anzi in braccio, la mitragliatrice è una goduria perché scatena il finimondo neanche fosse Jhon Rambo (2008). Sarebbe curioso sapere se Rodriguez si è ispirato ad Iguchi per la tipa con la gamba-fucile nel suo Planet Terror (2007), oppure il contrario, fermo restando che tutti sono debitori all’Ash di Sam Raimi.
Ho letto una definizione in rete di shakespeariana memoria che calza a pennello per The Machine Girl: “molto rumore per nulla”. A parte il reggiseno perforante è tutta roba già vista e stravista e per di più girata malino. Allora consiglio spassionatamente Meatball Machine (2005), molto più ben fatto e intrigante di questo.
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