sabato 19 luglio 2008

Diary of the Dead - Le cronache dei morti viventi

Mi inchino davanti all’intelligenza di Romero.
Intelligenza, e non è un caso che io usi questo termine perché è uno dei pochi registi horror, se non l’unico, che riesce sempre a creare film che si “vestono” in un certo modo ma che in realtà contengono un sotto-testo ferocemente sarcastico. Tutti hanno negli occhi le immagini di Zombi (1978) in cui orde di morti viventi si riversavano in un centro commerciale, facendo così Romero criticò a suo modo lo sfrenato capitalismo paragonandolo, appunto, al cannibalismo.
Nel 2005, con La terra dei morti viventi il regista crea un magnifico parallelismo con l’America dei nostri giorni e la città assediata dall’ esercito di zombi mentre nel palazzo del potere vige la corruzione morale e la violenza.

In Diary of the Dead (2007), che è totalmente slegato dai suoi film precedenti, Romero costruisce una storia che potrebbe definirsi normale per questo genere, ovvero un manipolo di sopravvissuti che scappa dall’inferno in Terra, ma che in realtà è molto ma molto di più. L’intero film è un documentario fittizio, alla Cannibal Holocaust (1980) per intenderci, girato da Jason che non abbandona mai la sua camera perché sostiene che ciò che non è ripreso è come se non fosse mai avvenuto. La sua ragazza Deb, un professore, e altri ragazzi sono i suoi compagni di viaggio nella disperata fuga verso chissà dove.

Romero affonda il coltello laddove la nostra società si sente più sicura: l’informazione. Che sia internet o i mass-media, il regista americano non risparmia nessuno dei mezzi di comunicazione, egli stesso appare nei panni di un poliziotto che davanti alla tv svela l’insabbiamento della diffusione dei morti viventi. Jason, il protagonista, è pervaso da un’irrefrenabile impulso di uploadare il suo filmino su internet mentre la sua ragazza vorrebbe usare la rete per mettersi in contatto coi genitori, questa pulsione irrefrenabile di Jason è la stessa di un qualunque blogger (e quindi di me stesso) che spinge a condividere la propria “verità” col mondo intero.
È molto interessante la riflessione di Deb quando dice che davanti ad un incidente difficilmente ci fermiamo ma non possiamo fare a meno di guardare. Questo spirito voyeuristico pervade l’intera pellicola, è come se ci fossimo noi in prima persona a lottare contro gli zombi, e sempre Deb mi ha illuminato dicendo: Alla fine, anche noi siamo entrati a far parte del flusso continuo di informazioni. È strano come guardando le cose attraverso una lente, o un vetro, alla fine diventi immune. Dovresti essere coinvolto ma invece non lo sei. È così o no? Siamo talmente bombardati di informazioni che di qualunque natura esse siano è come se diventassimo vaccinati nei loro confronti. Il bambino con le mosche attaccate gli occhi in Africa, l’automobile ridotta ad una scatoletta di tonno il sabato sera, la strage famigliare, sono tutti eventi di cronaca che ci sfiorano appena e non ci coinvolgono perché filtrati da uno schermo.
Gli ultimi minuti devo ancora assimilarli per bene, mi è sembrato fuori contesto la frase: meritiamo di essere salvati? Decidi tu… La crudeltà umana è fuori discussione, ma non era stata presa in considerazione granchè fino a quel momento, almeno non ai livelli di Il giorno degli zombi (1985).

Vabbè, gli zombi di Romero restano comunque i migliori, lenti ma posizionati al momento giusto nel posto giusto. Gli sbudellamenti non sono eccessivi e anche la geniale visionarietà di Romero questa volta latita un po’ escludendo il suicidio del contadino amish, e l’ultimissima immagine (qui sotto) che per conto mio può già passare agli annali della storia del cinema.

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