Pare che sia una storia
vera, ossia che un disabile stufo di aspettare invano dei
soldi dovuti dallo Stato, abbia tentato di dirottare un aereo con due
granate. Vero o no poco ci importa perché quella
dell’esordiente Alejandro Landes, nato in Brasile da madre
colombiana e padre ecuadoriano, è tutta la storia che c’è
prima, Vangelo di un povero cristo condannato alla sedia a rotelle
per via di una pistolettata alla schiena (ce lo dice già la
locandina, vedete?), venditore di minuti, innamorato della donna che
abita con lui (una prostituta?), padre di uno scavezzacollo,
cittadino indignato e inerte, in due parole: Porfirio Ramirez.
C’è tutto un
mondo dentro Porfirio (2011), film girato in Colombia con
danari – anche – europei (presentazione a Cannes), micro-universo
tragicomicamente delizioso, anzi: delicato nell’enucleare quello
che sulla carta è un dramma umano di proporzioni rattristanti:
Porfirio, dignitoso spiantato, alle prese con l’Abbandono, non
tanto famigliare perché il giovane figlio fa quel che può
(quando ne ha voglia), bensì Istituzionale, lasciato su una
brandina nel suo appartamento spoglio in attesa di un qualche
emolumento che gli spetterebbe di diritto, e intanto, giornalmente,
ingoiare il boccone amaro dell’immobilità, della
non-autosufficienza, della necessità di dover dipendere dagli
altri anche per i gesti più “semplici” (perfino per
defecare c’è bisogno di una “mano”), convivere con
l’umiliazione di non poter mai uscire di casa sulle proprie gambe
per fare una passeggiata, sognando cose bellissime e lontanissime,
fissando il mulinare delle zampe dei cavalli alla tv
(controbilanciate beffardamente dall’immediata scena successiva
dove un bruco striscia vicino ai piedi del protagonista). Di
materiale per inscenare una lacrimevole parabola istruttiva ce n’era
pericolosamente tanto ma per fortuna Landes fa quello che era più
intelligente fare: usa l’affilata ironia sgravando la tragicità
per renderla appetibile, empatica, maggiormente autentica di
qualunque altra manifestazione romanzata, perché il pregio
capitale di Porfirio sta proprio nella genuinità che
irradia (gli attori non sono professionisti), come se Landes non si
fosse dovuto inventare niente perché quello che aveva di
fronte alla mdp sarebbe accaduto anche a luci spente, naturalmente.
Come per Octubre
(2010) siamo al cospetto di un cinema squisitamente intimo, che dà
del tu, con il quale è automatico entrare in sintonia, un
cinema orgogliosamente anti-hollywoodiano che ci restituisce la
bellezza della caducità corporale (cfr. Battaglia nel cielo, 2005), descrivendo con una dolcezza velata ma intuibile il
profilo di un eroe che appartiene alla categoria dei perdenti, quella
che più ci piace vista la grandezza dell’impresa e
l’esiguità di chi la tenta, non si scoraggi però
señor Porfirio, anche se non è riuscito ad
ottenere i soldi dallo Stato, si è guadagnato la nostra
infinita stima.
Questo l'ho tradotto x AW...spero di rilasciare a breve i sub :D
RispondiEliminatrovato, grazie della segnalazione :)
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