Prolifica documentarista
londinese, nonché premiata e messa in lizza per premi
prestigiosi (qui l’Oscar), Lucy Walker sembra trovarsi a suo agio
in territori quanto mai vicini al concetto di Apocalisse; nel 2010
(Waste Land) si inerpicava su per i rilievi di spazzatura
dentro l’immensa discarica di Jardim Gramacho, appena un anno dopo
la ritroviamo con The Tsunami and the Cherry Blossom sulle
tracce del post-terremoto che disastrò il nord del Giappone
nel marzo del 2011.
Di anomala durata
(quaranta minuti), il documentario si biforca come già il
titolo suggerisce: la parte che tratta il maremoto e i devastanti
effetti da esso prodotti non brilla per intraprendenza, se ne sta
docile docile riproponendo filmati amatoriali che sono sì
ammutolenti (nel prologo l’avanzata dell’acqua umilia la realtà
sradicando case e qualunque altro manufatto partorito da mente umana)
ma che abbiamo potuto vedere nei telegiornali la sera stessa
dell’infausto evento, anche le testimonianze che la Walker monta in
serie sono un prevedibile riassunto di quanto dei sopravvissuti ad
una tragedia a random direbbero. Non che le loro parole debbano
essere svilite perché accomunabili a quelle di altre persone a
loro volta scampate ad una catastrofe, starebbe al regista di turno
rendere tali asserzioni più invitanti e meno ipotizzabili. Con
la porzione relativa ai fiori di ciliegio (che in realtà era
l’obiettivo principale della Walker la quale aveva progettato il
viaggio in terra nipponica per fare un film specifico sull’argomento
[1]), si tenta la carta della finestra culturale che vorrebbe
illustrare la devozione dei giapponesi verso i fiori di questo
albero, e nel suo piccolo ci riesce pure visto che a sentire
l’opinione degli autoctoni i ciliegi fioriti sono magici (non si fa
fatica ad accettarlo vista la radiosa magnificenza che emanano) e
hanno un potere che pare andare oltre l’apparenza per tracimare nel
simbolico.
Nell’accostare questi
due topic la Walker non è stata in grado di fornire una
coesione convincente all’opera, il concetto che vedrebbe la
rinascita floreale come una Rinascita tout court è di
un’immediatezza che rischia di provocare sbadigli, un’imboccatura
ai danni dello spettatore che non trova soddisfazione nemmeno
nell’impostazione risaputa della Natura bifronte che violenta
recide e subitaneamente amorevole rigenera. Le carrellate sugli
arbusti ingemmati sono “belle” immagini da cartolina dove
comunque si accusa un certo tono enfatico non gradito (le musiche
sono di Moby) che contribuisce a plastificare un’operazione che,
per ragione di quelli che non esito a definire difetti, non stupisce
se sia stata considerata una delle migliori nella sua
categoria da parte dell’Academy.
________
[1] Beh, il fatto che da
un’idea filmica ne sia poi sorta un’altra a causa del terremoto,
ricorda quello che è avvenuto per Himizu (2011) di Sion
Sono.
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