Fuga aurorale con
imprevisto.
Paesaggio d’avorio
ingrigito, vento che curva le sommità dei fili d’erba,
silenzio irreale, l’arrivo di un camion. Con pochissimi fattori a
sua disposizione Before Dawn (2005) riesce egregiamente a
trasmettere La Situazione all’osservatore, un colpo di clacson
illumina meglio che un sole: come nell’epico finale di Songs from the Second Floor (2000) l’emersione umana nel quadro
visivo, camuffata al nostro occhio eppure presente fin dall’inizio,
sorprende e ci pone su frequenze trepidatorie, questioni di leggero
accumulo che l’ungherese Bálint Kenyeres amministra con
talento, e non solo per il piano sequenza di cui dirò poco
sotto che costituisce l’intero cortometraggio, ma anche e
soprattutto per l’accaduto sganciato da qualunque riferimento
politico-culturale, il che proietta i dodici minuti di girato in una
dimensione ben più ampia del singolo episodio, e, vuoi per
l’ambientazione, vuoi per la suddetta e gradita assenza di
spiegazioni, il film sa profilarsi come un’istantanea universale
del Clandestino, uomo-in-fuga, l’immigrato costretto a convivere
con la paura impersonificata da una petulante sirena. Per capire
l’efficacia del lavoro di Kenyeres si può usare il metodo
della comparazione rapportandolo ad un corto come Silent River
(2011) che occupandosi della stessa tematica scivola non poco sulla
romanzatura narrativa e nella ricerca indesiderata di acutizzare il
dramma.
Menzione necessaria poi
alla tecnica usata dal regista che ricorda quella impiegata da Ruben
Östlund per Incident by a Bank (2009), uno
sfoggio che sulla carta potrebbe apparire virtuosistico ma che
nell’impiegarsi delinea prospettive concettuali e teoriche
rilevanti; filmare in unico shot nella declinazione data da
Kenyeres priva lo spettatore di quell’onniscienza tipica di una
sintassi registica “normale”, fornendo un unico e statico punto
d’osservazione la conoscenza visiva è regolamentata dalle
norme della fisica: possiamo vedere quanto la mdp ci permette di
vedere, tutto questo crea uno stato di impotenza in chi guarda poiché
impossibilitato a mettere effettivamente le grinfie sulla storia, ne
consegue una totale dipendenza nei confronti del demiurgo di turno
(Kenyeres) che sovrapponendo il proprio punto di vista col nostro ci
incatena lì, tra quelle colline che sembrano attendere da
secoli un po’ di luce.
(e lo sguardo
terrorizzato di un uomo, la visione di un vetrino al microscopio)
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