giovedì 23 giugno 2016

Before Dawn

Fuga aurorale con imprevisto.

Paesaggio d’avorio ingrigito, vento che curva le sommità dei fili d’erba, silenzio irreale, l’arrivo di un camion. Con pochissimi fattori a sua disposizione Before Dawn (2005) riesce egregiamente a trasmettere La Situazione all’osservatore, un colpo di clacson illumina meglio che un sole: come nell’epico finale di Songs from the Second Floor (2000) l’emersione umana nel quadro visivo, camuffata al nostro occhio eppure presente fin dall’inizio, sorprende e ci pone su frequenze trepidatorie, questioni di leggero accumulo che l’ungherese Bálint Kenyeres amministra con talento, e non solo per il piano sequenza di cui dirò poco sotto che costituisce l’intero cortometraggio, ma anche e soprattutto per l’accaduto sganciato da qualunque riferimento politico-culturale, il che proietta i dodici minuti di girato in una dimensione ben più ampia del singolo episodio, e, vuoi per l’ambientazione, vuoi per la suddetta e gradita assenza di spiegazioni, il film sa profilarsi come un’istantanea universale del Clandestino, uomo-in-fuga, l’immigrato costretto a convivere con la paura impersonificata da una petulante sirena. Per capire l’efficacia del lavoro di Kenyeres si può usare il metodo della comparazione rapportandolo ad un corto come Silent River (2011) che occupandosi della stessa tematica scivola non poco sulla romanzatura narrativa e nella ricerca indesiderata di acutizzare il dramma.

Menzione necessaria poi alla tecnica usata dal regista che ricorda quella impiegata da Ruben Östlund per Incident by a Bank (2009), uno sfoggio che sulla carta potrebbe apparire virtuosistico ma che nell’impiegarsi delinea prospettive concettuali e teoriche rilevanti; filmare in unico shot nella declinazione data da Kenyeres priva lo spettatore di quell’onniscienza tipica di una sintassi registica “normale”, fornendo un unico e statico punto d’osservazione la conoscenza visiva è regolamentata dalle norme della fisica: possiamo vedere quanto la mdp ci permette di vedere, tutto questo crea uno stato di impotenza in chi guarda poiché impossibilitato a mettere effettivamente le grinfie sulla storia, ne consegue una totale dipendenza nei confronti del demiurgo di turno (Kenyeres) che sovrapponendo il proprio punto di vista col nostro ci incatena lì, tra quelle colline che sembrano attendere da secoli un po’ di luce.

(e lo sguardo terrorizzato di un uomo, la visione di un vetrino al microscopio)

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