Non sbalordisce
l’ennesima proposta conflittuale (di conflitti interni, umani, ed
esterni, dittatoriali, e nuovamente interni [nella nazione])
proveniente dalla Romania. Questa volta però non vengono sputate
fuori le scorie sanguisughe della coscienza rumena, questa volta
siamo trasportati in quel presente: è il 1986 e Gregor e Vali (Andi
Vasluianu già visto nell’indelebile Bibliothèque Pascal, 2010) si
organizzano per attraversare il Danubio a nuoto e introdursi così in
Serbia clandestinamente. Con mezz’ora di tempo a disposizione la
regista Anca Miruna Lazarescu sonda in Apele tac (2011) la paura dei
due fuggitivi che fa rima con solidarietà, magari non esattamente
sincera, tuttavia concreta e indispensabile per portare il piano a
compimento. La realizzazione della fuga con tanto di preparativi
(l’incipit) così come viene mostrata si comporta benino, piuttosto
in linea con quanto era facilmente prevedibile, ma grazie
all’introduzione del terzo personaggio acquista un moderato
irrobustimento narrativo, e infatti: la donna squilibra il
patto, permette un accenno di suspense (difficile però credere che
il poliziotto si faccia gabbare in tale modo), e se non fosse per due
sempliciotti dettagli come la gravidanza (intensificazione drammatica
che vorrebbe significare “qualcosa” oltre la mera
gestazione) e l’inopportuno scambio di battute tra moglie e marito,
il finale, cuore (quasi) annegato del film ad un passo dall’apnea
con delle belle riprese notturne sul pelo dell’acqua, avrebbe avuto
un impatto maggiore perché meno romanzato, e l’alterazione si
accusa anche in quella che è la chiosa conclusiva, una specie di
morale che sta lì ad indicare di come una nuotata al chiaro di luna
da una sponda all’altra del Danubio possa stravolgere l’identità
(non solo quella sui falsi documenti): da perfetto sconosciuto a
padre nel giro di un secondo.
Resta l’eloquenza: in Serbia l’antifona non cambia troppo, da una Romania iper-militarizzata lo stato confinante non vuole essere da meno, ad attendere i fuggiaschi due fucili tra le frasche e la parola libertà che è ancora un gusto lontanissimo dall’essere assaporato.
Resta l’eloquenza: in Serbia l’antifona non cambia troppo, da una Romania iper-militarizzata lo stato confinante non vuole essere da meno, ad attendere i fuggiaschi due fucili tra le frasche e la parola libertà che è ancora un gusto lontanissimo dall’essere assaporato.
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