È piuttosto
interessante questo cortometraggio peruviano presentato nella sezione
apposita di Berlino ’11 da un debuttante di nome Fernando Vílchez
Rodríguez, perché La calma (2011) lavora molto e
abbastanza bene nel reparto sensoriale, evitata la didascalia ci sono
le immagini e i significati che emanano: teoricamente il film
dovrebbe raccontarci di un violento terremoto che colpì la
città di Pisco nel 2007, ma di informazioni sul sisma non ne
riceviamo, anzi l’inizio è estraneo e astratto, scandito da
una storiella che non lesina una certa inquietudine (ecco il
sopraccitato impegno nel campo percettivo), inquadrato perfino in un
piano simbolico dove il cadavere in putrefazione di una foca (o
qualcosa di simile) mangiucchiato dai cani evoca della roba brutta
trascorsa da un non troppo lontano tot di tempo. La conoscenza che
facciamo col terremoto è brutale: immagini di repertorio
nell’immediata post-catastrofe (altro elemento che gioca a favore
del regista, sfaccettature e incatalogabilità), delirio e
grida tra la polvere e le macerie, una testa che spunta dai detriti.
Si avverte nel pseudo-prologo che il cataclisma ha avuto
effetti di portata traumatizzante, non vengono esibiti, ci sono solo
insetti frenetici che brulicano nel cranio della bestia spiaggiata.
La calma a cui allude il
titolo, ovvero il dopo, ovvero il corpo dell’opera, è
una “rappresentazione” di quello che è rimasto; le
premesse, forse, promettevano un’intensità che nel prosieguo
non si riesce propriamente a ravvisare, Vílchez Rodríguez
“si perde un po’” nel rapporto tra l’incorporeità del
protagonista – che è sullo schermo principalmente sottoforma
dei pensieri esplicitati in forma scritta – e l’ingombrante
corporeità dello sfasciume che lo circonda condito dal
frastuono delle operose ruspe. Cioè, non mi pare ci sia un
vero e proprio laccio/causa-effetto tra lo stato di devastazione
della città e le intenzioni di fuga del tipo, o meglio, sulla
carta le potenzialità ci sono, nei fatti meno, però va bene
uguale: oltre la non precisa coesione è comunque gradita
l’instillazione epifanica che rimanda in altri spazi e tempi,
probabilmente La Vera Calma è quella lì, la sensazione
(appunto) di serenità che scaturisce dalla visione della casa
della madre con i nipotini, lontano dalla costa, dalla disgrazia e
via dicendo. Finale aperto e visivamente rabbioso, interpretazioni
cercasi, ma non disperatamente.
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