La tavola vuota rappresentava per Antoine la negazione dell’arte. Dopo la morte di sua moglie non era più riuscito a disegnare niente, girava per la città in cerca d’ispirazione, mentre le fauci della tavola bianca lo attendevano nella sua a casa.
Una fredda mattina di Gennaio trovò vicino alle fogne una sirena che stava morendo.
I capelli lisci e neri che le incorniciavano il viso gli ricordarono quelli della sua amata moglie, decise di portarla a casa, e contemporaneamente rinacque in lui l’ispirazione.
La mise nella vasca da bagno, l’avrebbe ritratta così.
Più passava il tempo, però, e più la sirena soffriva, le squame della pinna ingiallivano, sul suo corpo cominciavano a comparire delle pustole ricolme di sangue e pus giallo. Il viso, così perfetto, si stava coprendo di bubboni verdognoli, pativa, ma non riuscendo a parlare chiedeva aiuto ad Antoine con l’unica cosa che le era rimasta, lo sguardo.
Il pittore sentiva dentro di sé che se fosse riuscito a terminare il quadro lei si sarebbe salvata, ma col passare dei giorni la sirena peggiorava, e lui si sforzava di imprimerla sulla tela bella come l’aveva trovata.
Due settimane dopo il suo corpo era ormai un ammasso di bugne sanguinolente dalle quali uscivano vermi neri e viscidi, Antoine cercava di finire il quadro ma non riusciva a ricordarla come quella fredda mattina. Tutto ciò che aveva perso lo aveva ritrovato in lei, ma adesso lo stava perdendo di nuovo.
La sirena morì quando si rizzò sulla vasca, e da un bubbone nella schiena fuoriuscì un lombrico enorme, grasso, oleoso, anguillesco. Poi si accasciò sul bordo, e quegli occhi accesi, che avevano implorato fino all’ultimo, si chiusero.
Il pittore aveva perso sua moglie per la seconda volta, con tutta la dolcezza del mondo la sollevò dall’acqua putrida in cui ristagnava e la posò delicatamente sul pavimento. Iniziò a piangere, e pianse per giorni interi.
Molti anni dopo, quando entrarono in quella casa, trovarono sul pavimento due scheletri, uno sembrava quello di un pesce gigante.
I capelli lisci e neri che le incorniciavano il viso gli ricordarono quelli della sua amata moglie, decise di portarla a casa, e contemporaneamente rinacque in lui l’ispirazione.
La mise nella vasca da bagno, l’avrebbe ritratta così.
Più passava il tempo, però, e più la sirena soffriva, le squame della pinna ingiallivano, sul suo corpo cominciavano a comparire delle pustole ricolme di sangue e pus giallo. Il viso, così perfetto, si stava coprendo di bubboni verdognoli, pativa, ma non riuscendo a parlare chiedeva aiuto ad Antoine con l’unica cosa che le era rimasta, lo sguardo.
Il pittore sentiva dentro di sé che se fosse riuscito a terminare il quadro lei si sarebbe salvata, ma col passare dei giorni la sirena peggiorava, e lui si sforzava di imprimerla sulla tela bella come l’aveva trovata.
Due settimane dopo il suo corpo era ormai un ammasso di bugne sanguinolente dalle quali uscivano vermi neri e viscidi, Antoine cercava di finire il quadro ma non riusciva a ricordarla come quella fredda mattina. Tutto ciò che aveva perso lo aveva ritrovato in lei, ma adesso lo stava perdendo di nuovo.
La sirena morì quando si rizzò sulla vasca, e da un bubbone nella schiena fuoriuscì un lombrico enorme, grasso, oleoso, anguillesco. Poi si accasciò sul bordo, e quegli occhi accesi, che avevano implorato fino all’ultimo, si chiusero.
Il pittore aveva perso sua moglie per la seconda volta, con tutta la dolcezza del mondo la sollevò dall’acqua putrida in cui ristagnava e la posò delicatamente sul pavimento. Iniziò a piangere, e pianse per giorni interi.
Molti anni dopo, quando entrarono in quella casa, trovarono sul pavimento due scheletri, uno sembrava quello di un pesce gigante.
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