Lui e lei a Nevers.
Lui e lei ad Hiroshima, quattordici anni dopo.
Si dice che chi è sopravvissuto all’esplosione atomica ne conservi un ricordo devastante, particolarmente legato all’innaturalità dell’evento: un’immensa luce di tipo mai visto ha rischiarato il cielo a molti chilometri di distanza e nel luogo dell’esplosione tutto è stato totalmente annientato come da una potenza estranea alla possibilità di comprensione razionale. Degli uomini bruciati dall’esplosione sono rimaste delle sagome annerite o addirittura soltanto impronte di forma umana nei muri.
Eppure, quattordici anni dopo, Hiroshima è ancora una città.
Lei arriva per girare un film, è francese con un passato burrascoso alle spalle.
Lui è un architetto giapponese, sposato, che ha visto l’orrore ed è entrato dentro di lui.
Non si sa come si conoscono, ma succede.
Potrebbe essere un rapporto occasionale, non è così. C’è molto di più. Per lei è come tornare indietro nel tempo, quando aveva vent’anni e incontrava di nascosto un soldato tedesco a Nevers. Saltando nel passato ha paura che tutto ciò riaccada nel presente, con lui, che non è più lui perché è stato assassinato, ma che è sempre lui. In qualche modo.
La sceneggiatura gioca con i flashback e i dialoghi che spesso si tramutano in monologhi. All’infuori dei due protagonisti non ci sono altri personaggi, e cavolo se sono bravi! Per certi versi la recitazione sembra teatrale, e le battute dei due sono così suggestive quasi a sfiorare la poesia.
Per noi spettatori del terzo millennio questo film ha “tempi” completamenti diversi, è come quando vidi Tempi moderni (1936) e dissi: ”non fa ridere per un cazzo.” Non avevo capito che a quel tempo la comicità era diversa dalla nostra. Tra il 1959, anno di produzione del film di Resnais, ed il 2008 ne sono state scritte pagine nei libri di storia, e l’idea dell’amore, del rapporto di coppia, ci è arrivato mutato rispetto a quello che si aveva nel dopoguerra, ma è fuor di dubbio che l’essenza di questi valori è un carattere universale che è e sempre sarà; basta vedere la reazione di lui all’abbordaggio di un tipo nei confronti di lei, o la paura della fine del rapporto, di essere abbandonati e dimenticati.
L’inizio e la fine sono le parti migliori del film. Nelle prime sequenze si sentono le voci della coppia fuori campo mentre vediamo alcune immagini del disastro atomico, nella parte centrale veniamo a conoscenza del passato di lei, della sua relazione col tedesco e tutto ciò che ne è conseguito.
Alla fine, entrambi sul letto, si chiedono i loro nomi. Lei rivolgendosi a lui lo chiama Hiroshima, e lui a sua volta Nevers. Perché anche lei aveva vissuto la disperazione, diversa da una bomba atomica, ma pur sempre di orrore si trattava, e le era entrato dentro.
Lui e lei ad Hiroshima, quattordici anni dopo.
Si dice che chi è sopravvissuto all’esplosione atomica ne conservi un ricordo devastante, particolarmente legato all’innaturalità dell’evento: un’immensa luce di tipo mai visto ha rischiarato il cielo a molti chilometri di distanza e nel luogo dell’esplosione tutto è stato totalmente annientato come da una potenza estranea alla possibilità di comprensione razionale. Degli uomini bruciati dall’esplosione sono rimaste delle sagome annerite o addirittura soltanto impronte di forma umana nei muri.
Eppure, quattordici anni dopo, Hiroshima è ancora una città.
Lei arriva per girare un film, è francese con un passato burrascoso alle spalle.
Lui è un architetto giapponese, sposato, che ha visto l’orrore ed è entrato dentro di lui.
Non si sa come si conoscono, ma succede.
Potrebbe essere un rapporto occasionale, non è così. C’è molto di più. Per lei è come tornare indietro nel tempo, quando aveva vent’anni e incontrava di nascosto un soldato tedesco a Nevers. Saltando nel passato ha paura che tutto ciò riaccada nel presente, con lui, che non è più lui perché è stato assassinato, ma che è sempre lui. In qualche modo.
La sceneggiatura gioca con i flashback e i dialoghi che spesso si tramutano in monologhi. All’infuori dei due protagonisti non ci sono altri personaggi, e cavolo se sono bravi! Per certi versi la recitazione sembra teatrale, e le battute dei due sono così suggestive quasi a sfiorare la poesia.
Per noi spettatori del terzo millennio questo film ha “tempi” completamenti diversi, è come quando vidi Tempi moderni (1936) e dissi: ”non fa ridere per un cazzo.” Non avevo capito che a quel tempo la comicità era diversa dalla nostra. Tra il 1959, anno di produzione del film di Resnais, ed il 2008 ne sono state scritte pagine nei libri di storia, e l’idea dell’amore, del rapporto di coppia, ci è arrivato mutato rispetto a quello che si aveva nel dopoguerra, ma è fuor di dubbio che l’essenza di questi valori è un carattere universale che è e sempre sarà; basta vedere la reazione di lui all’abbordaggio di un tipo nei confronti di lei, o la paura della fine del rapporto, di essere abbandonati e dimenticati.
L’inizio e la fine sono le parti migliori del film. Nelle prime sequenze si sentono le voci della coppia fuori campo mentre vediamo alcune immagini del disastro atomico, nella parte centrale veniamo a conoscenza del passato di lei, della sua relazione col tedesco e tutto ciò che ne è conseguito.
Alla fine, entrambi sul letto, si chiedono i loro nomi. Lei rivolgendosi a lui lo chiama Hiroshima, e lui a sua volta Nevers. Perché anche lei aveva vissuto la disperazione, diversa da una bomba atomica, ma pur sempre di orrore si trattava, e le era entrato dentro.
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