Non il tributo nostalgico
di Final Cut (2012) e nemmeno la ricerca sul realismo di I Am Not Your Friend (2009), dobbiamo tornare più indietro
per trovare un Pálfi assimilabile a quello di Szabadesés
(2014), precisamente al film-porta che lo fece conoscere al mondo:
Taxidermia (2006), forse nemmeno: Free Fall è
un’altra cosa ancora, decisamente inferiore. Coadiuvato
dall’inseparabile penna di Zsófia Ruttkay, il film
dell’ungherese è, come potrete leggere in ogni recensione
disseminata nel Web, un collage di ritratti bislacchi dove il
nonsense tiranneggia, il punto è che ciò a cui
assistiamo una volta al cospetto di Szabadesés è
esattamente questo: una carrellata a compartimenti stagni di
assurdità. Sì, potrà esserci il fil rouge
dell’anziana condannata alla vita che nel suo dantesco
precipitare-risalire-precipitare è testimone involontaria
dell’illogicità che fonda il palazzo (d’altronde è
lei stessa la protagonista di una faccenda alquanto curiosa…), ma è
sufficiente? Voglio dire, è potenzialmente interessante una
struttura narrativa che prospera nei frammenti, a patto però
che il demiurgo di turno sia in grado di fornire un collante
sotterraneo al proposito. E, per quanto mi riguarda, ritengo che
Pálfi qui non ci sia riuscito.
Che il magiaro sappia
fare il suo mestiere è fatto noto, e che abbia avuto fin dagli
albori una tendenza a mettere in campo idee fuori dal comune anche
(il lontano Hukkle [2002] ce lo ricorda), con Szabadesés
l’impressione è che abbia dato più che altro sfogo ad
una serie di situazioni che covava da tempo ma che non era riuscito
ad inserire nei suoi film precedenti. Indubbio che almeno due circostanze
accendano la nostra attenzione, e ovviamente mi riferisco alla
scenetta con la coppia rupofobica o a quella folle, ma davvero folle,
del parto all’inverso, e c’è da dire che presi di per sé
i due segmenti appena citati possiedono anche una discreta cavità
argomentativa, tuttavia il problema è ubicato proprio nella
loro estrema indipendenza reciproca, funzionano di più, anzi,
funzionano solo così, perché se posti uno di fianco
all’altro finiscono per divenire una fastidiosa sequenza onanistica
di insensatezze. Per di più Pálfi oltre a mancare sul
piano del raccordo complessivo, ad esclusione delle parentesi
summenzionate non convince affatto nelle restanti porzioni
squadernando una diffusa debolezza: non c’è forza, appeal,
studio, nel rimbalzo tra un guru che insegna (non sufficientemente
bene) ai suoi discenti ad attraversare i muri, e una festa di
musicisti con la donna nuda (forse) metafora, per non parlare
dell’intermezzo in salsa sit-com che probabilmente vorrebbe
stigmatizzare il genere ma che fatica come una bestia nell’intento.
Un film fatto di continue sconnessioni dunque, quasi fastidioso nel
non volersi curare di fornire un abbraccio saldante, incapace di
nascondere la probabile miccia che ha acceso i suoi autori: infilare una sfilza di stramberie a costo di fare un film.
Guarda il caso, son tornato da poco dalla proiezione di Free Fall con collegamento Skype a fine visione con Palfi stesso.
RispondiEliminaIo ho gradito, il film come ha spiegato l'autore è stato commissionato da una compagnia sud coreana, il film doveva essere completato in soli 6 mesi(post produzione compresa). Vi sono diverse idee che Palfi ha messo insieme di fretta,la scena della vecchia che cade dice di averla messa dentro alla fine, e a detta sua lo ha concepito come 7 film diversi. Sicuramente non un Palfi personale ma neanche da buttar via.
E dove sarebbe avvenuta questa proiezione? Sono curioso!
RispondiEliminaa Londra.....scusa non ho specificato.
RispondiEliminaAaah ok, beh, una bella cosa!
RispondiEliminamolto bella, fa parte di un programma di proiezioni di registi dal centro-est europa, la prossima è We are never alone di Petr Vaclav(Rep.Ceca).
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