venerdì 16 settembre 2016

Anvers

Interessato, per quanto si è potuto vedere, alle forme del dramma sociale, il regista olandese Martijn Maria Smits prima della prostituzione di Under the Weight of Clouds (2012) si è occupato di disoccupazione nel 2009 con Anvers. Come per il film che verrà anche questo focalizza l’attenzione su figure emarginate dall’esistenza pericolante, di certo non ci troviamo in un contesto così duro come può essere quello di una meretrice immigrata, e ciò comporta del giovamento: per fortuna la tendenza a “pornografare” l’eventuale tragedia qui è mitigata da Smits che opta per un tono minore punteggiato da momenti morti, ininfluenti ma non superflui, esposti con un metodo molto realista, uno stile che negli anni zero, in Europa, abbiamo visto arrivare a fiotti dalla Romania. E non ci troviamo neanche al cospetto di un trattato sulla crisi, anche se viene accennata il regista non ha il tempo né le qualità per farlo. Il richiamo al periodo storico è solo un’appendice perché la storia del giovane compagno senza lavoro con domicilio in casa dei suoceri e con figlia da mantenere è vicenda in sé, slegata, senza esserlo del tutto, dalle ragioni dell’attualità, e il dondolio tra l’indipendenza dal sociale e la comunque appartenenza alle velleità di denuncia parcheggiano Anvers nel limbo dell’indolenza.

(una parentesi a mezz’aria è il posto giusto per una contestazione che non è riuscita ad entrare nella dissertazione generale: ad un certo punto il ragazzo penetra in una casa (la sua ex casa?) e inizia a spaccare tutto. Perplessità a tutta birra. Se qualcheduno mai vedrà, è pregato di chiarificare)

Dal suddetto limbo emerge indubitabilmente un aspetto principe: che Anvers ha essenzialmente a cuore la crisi della coppia e non la crisi economica. Il fatto che ci sia un legame è innegabile (la questione che lui sia senza una professione e il suo essere un po’ lassista lo inimicano agli occhi della compagna ancor prima che a quelli dei suoceri), come è altrettanto innegabile l’accentramento sentimentale di Smits; dal momento della lite si dispiegano i caratteri e le afflizioni dei protagonisti, ma anche qua l’assenza di minuti e di doti effettive a disposizione non sollevano il corto dall’area dell’intenzione. Sarebbe stata un’impresa riuscire a far trasmigrare dentro un film così ancorato al reale e in un tempo così esiguo l’enorme matassa di un’unione in disgregazione, dei moti sotterranei e della lava covata in prossimità dell’eruzione. Rinvenendo l’apatia della donna durante la breve vacanza e la rassegnazione al luppolo del consorte si constatano al massimo i pigmenti di una raffigurazione virtualmente spropositata.

(anche una parentesi a piè di commento può avere un motivo d’essere: nel settore del breve, per chi fosse interessato a problemi coniugali può rivolgersi a Km (2012). La comparazione mostrerà il diverso approccio e la diversa struttura del corto greco nei confronti di quello orange. Preferire il congegno ellenico è pressoché automatico)

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