giovedì 25 agosto 2016

Il castello

Quanto segue è il frutto della visione in forma ridotta di cinquantatre minuti.

Promuovo Il castello (2011), ma senza lasciarmi andare ad accesi entusiasmi, perché si pone sull’unico piano salvifico a cui il cinema italiano può tendere, che è quello lontano dalle grosse, ridicole, produzioni (ci sono in ballo giusto trentamila euro messi a disposizione dalla Rai) che implicano il coinvolgimento della solita e stancante dozzina di attori beoti dal grasso portafoglio santificati da Mollica o da Marzullo, se si vuole fare cinema si può prescindere tranquillamente da certa attorialità omologata perché le storie, semplicemente, esistono nella realtà senza i fantocci delle persone, le storie si fanno con le immagini e non con la recitazione. Per questo il lavoro di D’Anolfi & Parenti è degno d’attenzione, la forma che lo sostanzia è sì documentaristica, ma solo se parliamo di etichette, perché qui siamo in presenza di un doc spurio che seguirà anche certi canoni generalmente riconosciuti ma che sa anche affrancarsene operando una leggera intensificazione sul girato. Questo è un passaggio chiave, è l’atto che ispessisce il film e che squaderna un altro modo di fare cinema nel nostro Paese, è la prova che si può raccontare molto sfuggendo alle costrizioni sceneggiaturiali, meno si contamina l’immagine catturata e più ci si avvicina ad un nucleo originario, autentico, vivo, e la coppia di registi mi pare segua intelligentemente tale strada, a parte l’impostazione metaforica di una ciclicità, peraltro coerente poiché le riprese all’interno di Malpensa sono durate quasi un anno, il resto è realtà senza artifici, qualcosa che si avvicina alla Verità.

La promozione è dovuta anche a motivazioni più di superficie che si rifanno all’argomento trattato. Visto il luogo, il crocevia della modernità per eccellenza, e viste le questioni socio-politiche che non passano mai di moda legate al terrorismo, ritengo Il castello un’opera ben focalizzata sulla contemporaneità. Nel suo piccolo, una taglia data dalla dimensione satellitare che inevitabilmente lo circonda ma di certo non dall’essenza costituente, questo film mostra con discrezione la paranoia cronica dell’uomo occidentale post 11 settembre. Durante la proiezione si apre dunque un forum dove ci si pone la domanda di quale sia il confine tra una necessaria tutela dei passeggeri ed un abuso di potere che sfiora il fascismo da parte degli agenti. Quindi: controllo, privacy, terrore, immigrazione, droga, povertà, solitudine. I tag che identificano Il castello, si capirà, sono i principali argomenti che riempiono i dibattiti politici e l’idea avuta da D’Anolfi e Parenti di sondare suddette tematiche attraverso la lente aeroportuale continua a sembrarmi azzeccata perché, come scritto ad inizio paragrafo, gli aeroporti sono i nodi indispensabili per il trasporto nel corpo-mondo, ed essi stessi, a loro volta, sono ulteriori micro-mondi dove si attualizzano, per pochi minuti o per una vita intera (la donna gemella di Viktor Navorski), le dinamiche sussistenti all’esterno. Che nel Castello vi sia ciò non può che spingere alla sua visione, è una spinta che non trasporterà in territori così alti, ma la traiettoria è gravida di interessanti suggestioni.

5 commenti:

  1. Trentamila euro non son pochi però, Eraserhead... anzi, a me sembrano pure parecchi e già comunque determinanti un cinema che, al di là della grande produzione, si mantiene comunque all'interno di un'istituzione che mantiene in piede il cinema prodotto - in maniera grande o piccola che sia. Fortunatamente, in Italia c'è davvero chi si emargina da certe dinamiche, che comprendono l'estraniazione più totale e sentita da determinati ambienti.

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  2. Sicuramente rispetto ai veri autori indipendenti che tu ben conosci è tanto, rispetto a santoni come Bellocchio e Rosi penso sia fin poco, Fuocoammare ad esempio si è preso 300.000 € solo che dal Ministero dei Beni Culturali (fonte cinemaitaliano.info), coiè, mica spiccioli per un film che non ha nemmeno cachet per attori. Comunque, se questo è il mercato bravo chi sfrutta l'occasione, e mi sa che D'anolfi e Parenti siano ormai entrati in quest'ottica poiché si sono ingraziati i boss di Rai Cinema, si veda il loro Spira Mirabilis che sarà addirittura in competizione alla prossima Mostra. Ad ogni modo questa coppia la ritengo una dignitosa via di mezzo tra il cinema più puro e quello più inquinato dal denaro.

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  3. C'è da dire che due rincoglioniti come te e il Cazzin (fu Povero Yorick) non li beccavo da tempo nel giro dei blog.

    Con la vostra idea imbecille di un cinema altro (e dunque assiomaticamente migliore, più puro, genuinamente indipendente) che è tale proprio perché si autoemargina, perché fa bella mostra di un pauperismo che è tutta facciata (nel 98% dei casi almeno).
    in tutto ciò non riuscite a rendervi conto dell'ingenuità della vostra posizione e di come, soprattutto, non abbia nulla a che fare col reale valore di un'opera, nonostante le conclusioni che traete in maniera tanto superficiale e frettolosa.

    Devo ammettere, per esser giusto, che una virata – anzi, un'involuzione – verso un simile talebanesimo cinematografico non mi ha sorpreso in un personaggino infimo qual è sempre stato Yorick (che anche quando scriveva dei film su cui oggi sputa bile, ne scriveva malissimo e sostanzialmente non capendoci un cazzo); al contrario il tuo, Eraserhead, fino a poco tempo fa mi è sempre sembrato un discorso più genuino, più appassionato. I tuoi sforzi, insomma, mi sembravano realmente mirati a una maggiore diffusione di quel cinema più lontano dai riflettori, non di un "cinema" altezzosamente autoesiliatosi spesso più a causa dei deliri paranoidi dei suoi autori e dell'infimo valore celato dietro a una inconsistente patina di sperimentalismo delle opere, che di un sistema "cattivo".

    Quando vi renderete conto di che idea asfittica e reazionaria di cinema è sottesa al discorso che state portando avanti negli ultimi mesi/anni sarà decisamente troppo tardi.

    Ma vabbè, a quanto s'è capito anche Tarr e Reygadas ormai sono due coglioni qualunque. Perché stare a discuterne?

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  4. Ciao Orfeo, come è già successo in passato mi sembra che l'"odio" verso Francesco trovi sbocchi in situazioni che esulano dal contesto specifico. Di quello che tu dici, in tutta franchezza, non mi sento minimamente tirato in causa per un semplice motivo: io non vedo i film che Yorick vede (l'unica esclusione sarà un'opera che tratterò a breve e che non ha praticamente nulla di sperimentale, anzi se citi Reyagdas credo che in parte sia un film assimilabile un minimo al suo "stile" e perciò penso potrebbe piacerti molto, il titolo è Las letras). Comunque i due blog credo che parlino da soli e la concezione, o più semplicemente l'interesse che abbiamo verso il cinema adesso è molto diverso, perché va bene così, ognuno ha il proprio percorso e la propria sensibilità, ciò non toglie che ci si possa incotrare su certe opinioni. Tuttavia, se tu scorri col ditino appena sotto vedrai Denis Cotè, ancora più sotto Sion Sono, insomma non mi sembra di parlare di un cinema "altezzosamente autoesiliatosi spesso più a causa dei deliri paranoidi dei suoi autori". Se ultimamente ho bisogno di visioni che esprimano un certo tasso di originarietà (una parola di merda, lo so, ma vorrei far capire che si tratta della necessità di filtrare una finzione sempre più tritatutto), è perché sono cambiato, forse cresciuto, non so, il punto è che tale originarietà, ad esempio, io l'ho trovata in Leones, un film presentato a Venezia con una produzione alle spalle (immagino piccola ma comunque presente) e che fa sicuramente parte del sistema "cattivo", se così vogliamo dire. Idem per Noche di Leonardo Brzezicki che è un altro film bellissimo visto qualche giorno fa, o Hors Satan e così via. E basta prendere le parole al film che stiamo ora commentando per notare il mio moderato apprezzamento nonostante la consapevolezza della Rai. Per cui non capisco esattamente le tue critiche estrapolate dalla risposta di un commento a Yorick, e ugualmente non so dove tu abbia inteso che per me Tarr e Reygadas siano coglioni qualunque, e ti assicuro che se c'è una cosa su cui puoi scommettere è la mia passione sincera e genuina, non mi è mai fregato niente della visibilità (infatti non ho mai aperto una pagina Facebook e mai lo farò), di farmi sentire, ho sempre preferito starmene per i fatti miei proprio perché ho sempre considerato questo posto virtuale una cosa solo mia.

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  5. Ah, ecco, ci mancava il demente...

    A ogni modo, Oltre, condivido su Fuocoammare e capisco cosa intendi parlando di D'Anolfi/Parenti. Boh, che girino un gran bene è fuori discussione e che ormai io veda altro pure, quindi difficilmente riuscirei ad apprezzarli ancora come all'epoca, è certo però che se non ci fossero, oltre alla RAI, anche i preti di mezzo nei loro film mi starebbero ben più simpatici.

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