To agori troei to
fagito tou pouliou (2012) è un buon film perché sa
parlare di attualità senza esplicitare in modo lampante la
tematica della crisi economica, fantasma che, appunto, aleggia dietro
la visione cruda e diretta della realtà. La bravura di Ektoras
Lygizos è stata quella di fare un film che non cede alla
letteralità della denuncia, al volere inscenare il dramma
sociale di un ragazzo che non ha più niente, non c’è
neanche la metafora lanthimosiana qua, e perciò nemmeno legami
effettivi con la new wave greca. Con un movimento ossimorico, alieno
eppure maledettamente concreto, il film ha una propria indipendenza
nella quale riesce a far crescere di minuto in minuto un rimando potente e
per nulla didascalico alla situazione politico-monetaria della Grecia
nel 2012. Ma Lygizos, autore attivo principalmente in ambito
teatrale, aveva cominciato il discorso molti anni prima della
rinascita cinematografica ellenica, precisamente nel 2004 con il
corto Agna niata, e alla luce di questo lavoro, in particolare
del suo annichilente finale, è possibile considerare il
protagonista di Boy Eating the Bird’s Food uno dei bambini
che videro con i propri occhi l’orrore della morte penzolare dal
soffitto della scuola. Se in riferimento a quel film scrivevo che la
crisi non è mai soltanto economica ma anche culturale, ecco
che quasi una decade dopo gli effetti di una certa cecità
sembrano ricadere sulle generazioni del presente, il protagonista,
infatti, nonostante abbia un grande talento vocale viene scartato
durante un provino, in sostanza: in tempi critici non c’è
spazio per l’arte.
L’opera ha una coerenza
estetica perfettamente tagliata per quello che vuole dire,
apparentemente sciatta (ma solo perché i nostri occhi sono
stati per anni disabituati a punti di vista differenti), la tecnica
di Lygizos è con ogni probabilità un ottimo compromesso tra
improvvisazione e minuzioso studio preparatorio. Non c’è mai
un attimo di tregua nel pedinamento epidermico verso il giovane, se
c’era un modo per farci entrare dentro una tale disperazione credo
che quello scelto dal regista sia il migliore possibile. È
davvero una Via Crucis a cui dobbiamo rifarci per inquadrare la
vicenda (in un’intervista a Lygizos viene evidenziato di come alla
fine quella scala portata a spalla assomigli tanto a una croce
[link]), e la cosa bella, nel suo essere terribile, è che
quando noi arriviamo il tessuto sociale intorno a Yorgo si è
già disintegrato, lui è un uomo solo che trova conforto
nell’accudire il canarino, semplicemente il suo alter ego: un altro
essere vivente che oltre al cibo condivide con il padrone la stessa
gabbia, solo un po’ più piccola. Non c’è gratuità
o compiacimento da parte dell’autore nel riprendere gli atti
miserabili compiuti da Yorgo (neanche il più estremo:
l’ingerimento del proprio sperma), men che meno il suo cinismo
infastidisce (le situazioni nella casa del vecchio, dalla sottrazione
di zucchero al cadavere ignorato), e tutto ciò perché
il realismo è centrato nel nucleo, nonostante i termini siano
parossistici non si viene mai a dubitare di quanto accade sullo
schermo. E alla fine, quando
finalmente Lygizos decide di staccarsi dal corpo del protagonista
rimanendo al di qua del palazzo disastrato, immobile
nell’osservare Yorgo guardarsi allo specchio, comprendiamo
l’infinità della tragedia che proseguirà oltre i
confini diegetici, e lo stacco in nero sui titoli di coda certifica
una verità: To agori troei to fagito tou pouliou non è
un buon film, è un gran film.
L'ho visto proprio oggi, ed era da mesi che non guardavo un film, ed è interessante che tu l'abbia recensito proprio recentemente. Condivido ogni parola, ho apprezzato particolarmente questo discostarsi dalla "new wave" greca stilisticamente parlando, tra l'altro l'uso della macchina a spalla è fatto, come appunti, con un certo tecnicismo spesso coreografico, molto più armonico rispetto all'uso in altre opere come "Weekend" di Andrew Wright o "Till det som är vackert" di Lisa Langseth, dove l'uso che se ne fa è molto più morboso.
RispondiEliminaLa scena del canto in Chiesa tocca le viscere. Un cinema che urla l'umanità.
Strana coincidenza... comunque questo è un film con una sua potenza, prendiamo la scena dello sperma: se me la raccontassero senza vederla nel suo contesto direi che si tratta di una gratuità ostentata, invece nello spartito generale ci sta in modo naturale ed è una delle tante note amare della disperazione che vediamo.
RispondiEliminasì, e a proposito di atti sessuali, l'incontro con la sconosciuta è raggelante, ma quanto di più normale nello spettro delle emozioni borghesi. Ciò che sembra estremo e disumano è invece quanto di più ordinario nella nostra società. Fa malissimo, ma il protagonista costudisce una certa purezza e l'unica speranza diventa quel canarino che nutre. L'amore è avere cura del prossimo, bisognerebbe ripeterselo come un'omelia...
RispondiEliminaUn film potente sì, ed è interessante questo regista, ho letto che il film trae ispirazione da una novella di Hamsun, che non conoscevo. Ma pare che Lygizos abbia stravolto tutto giustamente.
Ho visto anche il corto "Agna niata" che ha girato nel 2004, abbastanza terrificante. Peccato che produca poco, speriamo riesca a donare altre opere, ha molto talento.