Non ci sono cowboys in
questo sconosciuto (non a torto) corto olandese diretto dal giovane
Mees Peijnenburg classe ’89, ed è vero che non si rintraccia
la presenza di personaggi dotati di Camperos né di colt
fumanti sullo schermo, ma il sottofondo musicale fatto di arpeggi e
giri di fisarmonica ricorda comunque un’atmosfera countryeggiante,
tuttavia nell’istante in cui si apprende ciò è in
automatico accertato anche l’unico e dico unico elemento che va
oltre la stato diegetico. Non ci può essere rapporto alcuno
con un’opera del genere, un film fatto da un ragazzino che
giustamente, almeno dal suo punto di vista, racconta una storia di
ragazzini: ci sono le cazzate, le scopate, i sogni, l’amicizia
fraterna, le risse, gli amici coglioni, le tipe, e via dicendo. La
proposta in sé è davvero teeny e per
l’inesperienza che il tutto palesa suscita una sorta di tenerezza,
subito annientata da una trama convogliata in una sequenza di eventi
che non colpiscono, mai.
Del focus di Cowboys
janken ook (2013), ovvero quel senso di colpa che dovrebbe
generarsi in Sven e del susseguente allontanamento di Gijs, ci
giungono cartoline sbiadite di un’ovvietà deplorevole (Gijs
che parlotta con uomo sulla carrozzella? Pochino; Sven che
accompagnato da effetti visivi discutibili si dispera sotto la
doccia? Idem), non c’è sviluppo perché quello che c’è
è solo la prevedibile didascalità dei fatti che
accadono, non vi è profondità sotto ciò che
vediamo e quindi nemmeno una miccia che sappia stimolare anche il più
microscopico pensiero. Se la celeberrima diade forma-contenuto
risulta così monodimensionale è davvero complicato
scriverci sopra in modo perlomeno accettabile senza rifilare una
serie di concetti scontati, e il sottoscritto di riflesso soccombe a
questa legge: la banalità non porta nient’altro che la
banalità.
Nessun commento:
Posta un commento