domenica 7 agosto 2016

Cowboys janken ook

Non ci sono cowboys in questo sconosciuto (non a torto) corto olandese diretto dal giovane Mees Peijnenburg classe ’89, ed è vero che non si rintraccia la presenza di personaggi dotati di Camperos né di colt fumanti sullo schermo, ma il sottofondo musicale fatto di arpeggi e giri di fisarmonica ricorda comunque un’atmosfera countryeggiante, tuttavia nell’istante in cui si apprende ciò è in automatico accertato anche l’unico e dico unico elemento che va oltre la stato diegetico. Non ci può essere rapporto alcuno con un’opera del genere, un film fatto da un ragazzino che giustamente, almeno dal suo punto di vista, racconta una storia di ragazzini: ci sono le cazzate, le scopate, i sogni, l’amicizia fraterna, le risse, gli amici coglioni, le tipe, e via dicendo. La proposta in sé è davvero teeny e per l’inesperienza che il tutto palesa suscita una sorta di tenerezza, subito annientata da una trama convogliata in una sequenza di eventi che non colpiscono, mai.

Del focus di Cowboys janken ook (2013), ovvero quel senso di colpa che dovrebbe generarsi in Sven e del susseguente allontanamento di Gijs, ci giungono cartoline sbiadite di un’ovvietà deplorevole (Gijs che parlotta con uomo sulla carrozzella? Pochino; Sven che accompagnato da effetti visivi discutibili si dispera sotto la doccia? Idem), non c’è sviluppo perché quello che c’è è solo la prevedibile didascalità dei fatti che accadono, non vi è profondità sotto ciò che vediamo e quindi nemmeno una miccia che sappia stimolare anche il più microscopico pensiero. Se la celeberrima diade forma-contenuto risulta così monodimensionale è davvero complicato scriverci sopra in modo perlomeno accettabile senza rifilare una serie di concetti scontati, e il sottoscritto di riflesso soccombe a questa legge: la banalità non porta nient’altro che la banalità.

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