martedì 2 agosto 2016

Paradoxocracy

La prima sortita di Pen-Ek “Tom” Ratanaruang nel campo documentaristico nasce prima di tutto da un’esigenza personale, quella di conoscere più a fondo la storia recente del proprio Paese. Coadiuvato dal suo produttore e amico Pasakorn Pramoolwong, in Prachathipa’Thai (2013) il regista di Ploy (2007) risale il placido Fiume del Tempo (infatti a ritmare il film ci sono dei brevi intermezzi, gli unici!, fluviali) per scandagliare porzioni di memoria politica e sociale smarriti nell’oblio. Può sembrare strano che una persona che si presume possegga un certo acume come è l’uomo-regista Ratanaruang conosca poco della nazione in cui è nato e vive, ma come egli stesso spiega in un’intervista a The Hollywood Reporter (link) in Thailandia i libri di storia non raccontano esattamente l’andamento dei fatti, omettono, minimizzano, mentono, per cui la ricerca dei due registi ha dovuto orientarsi su testi stranieri, e più si immergevano negli anfratti del passato più scovavano nuovi elementi da far emergere. La bontà dell’operazione Paradoxocracy è rintracciabile nelle intenzioni di Ratanaruang che rifiutando tutti gli inviti pervenutagli dai vari festival ha dato precedenza alla morale piuttosto che alla moneta, queste sono le sue dichiarazioni a proposito:

Voglio assicurare le persone thailandesi che non ho fatto questo film per motivi ulteriori – non per la fama, e soprattutto non per i soldi. Se vincesse un premio, noi non lo accetteremmo. In Thailandia sono piuttosto famoso, ma vengo spesso collegato con i festival internazionali. Ciò che voglio è che nessuno parli del film in quest’ottica – quel “oh, Pen-Ek fa film per stranieri nei festival”. Questo è un film per noi e per il popolo thailandese. Non so se il pubblico straniero riuscirà ad entrare in sintonia con esso, forse c’è bisogno di una forte conoscenza personale della Thailandia per riuscirci.



(dall’intervista sopraccitata)

In effetti è proprio così, è arduo essere rapiti dalla fredda cronistoria di un mondo lontanissimo dal nostro, e i momenti dove si snocciolano eventi storici appiattiscono di non poco la visione, tuttavia tra le dichiarazioni degli anonimi intervistati (il nome non è rivelato ma si intuisce la loro conoscenza argomentativa: sono accademici, filosofi, ex-attivsiti) alcuni concetti sanno fertilizzare, creano connessioni (vi sono delle assonanze impensabili con la rivoluzione cubana di Castro), si interrogano sullo stato attuale delle dottrine politiche che hanno disintegrato il ‘900, puntano il dito sulle fragilità di una democrazia che non riesce mai ad essere davvero equa, ci restituiscono una serie di sconosciuti politici thai assoggettati, come tutti i Politici del mondo, al Potere, testimoniano il labile confine tra ideologia e fanatismo richiamando le brutalità del vicino di casa Pol Pot. Insomma, pur tematizzando in modo elementare con uno spirito tutto didattico e per nulla artistico (addirittura compaiono ogni tanto sullo schermo delle definizioni esplicative di vocaboli come Bolscevico o Fascismo), Paradoxocracy non è sicuramente opera sterile, e comunque al di là di ogni possibile parola è esattamente quando le parole vengono eliminate che si comprende appieno la necessità politica di un lavoro del genere, infatti Ratanaruang, a causa di pressioni dall’alto che in aggiunta hanno anche tentato di boicottare il film durante delle proiezioni a Bangkok, è stato costretto a silenziare alcuni passaggi all’interno del film poiché ritenuti troppo scomodi per diventare di dominio pubblico. Eppure è proprio col silenzio coatto che la voce di Prachathipa’Thai si fa più forte.

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