La prima sortita di
Pen-Ek “Tom” Ratanaruang nel campo documentaristico nasce prima
di tutto da un’esigenza personale, quella di conoscere più a
fondo la storia recente del proprio Paese. Coadiuvato dal suo
produttore e amico Pasakorn Pramoolwong, in Prachathipa’Thai
(2013) il regista di Ploy (2007) risale il placido Fiume del
Tempo (infatti a ritmare il film ci sono dei brevi intermezzi, gli
unici!, fluviali) per scandagliare porzioni di memoria politica e
sociale smarriti nell’oblio. Può sembrare strano che una
persona che si presume possegga un certo acume come è
l’uomo-regista Ratanaruang conosca poco della nazione in cui è
nato e vive, ma come egli stesso spiega in un’intervista a The
Hollywood Reporter (link) in Thailandia i libri di storia non
raccontano esattamente l’andamento dei fatti, omettono,
minimizzano, mentono, per cui la ricerca dei due registi ha dovuto
orientarsi su testi stranieri, e più si immergevano negli
anfratti del passato più scovavano nuovi elementi da far
emergere. La bontà dell’operazione Paradoxocracy è
rintracciabile nelle intenzioni di Ratanaruang che rifiutando tutti
gli inviti pervenutagli dai vari festival ha dato precedenza alla
morale piuttosto che alla moneta, queste sono le sue dichiarazioni a
proposito:
Voglio assicurare le
persone thailandesi che non ho fatto questo film per motivi ulteriori
– non per la fama, e soprattutto non per i soldi. Se vincesse un
premio, noi non lo accetteremmo. In Thailandia sono piuttosto famoso,
ma vengo spesso collegato con i festival internazionali. Ciò
che voglio è che nessuno parli del film in quest’ottica –
quel “oh, Pen-Ek fa film per stranieri nei festival”. Questo è
un film per noi e per il popolo thailandese. Non so se il pubblico
straniero riuscirà ad entrare in sintonia con esso, forse c’è
bisogno di una forte conoscenza personale della Thailandia per
riuscirci.
(dall’intervista
sopraccitata)
In effetti è
proprio così, è arduo essere rapiti dalla fredda
cronistoria di un mondo lontanissimo dal nostro, e i momenti dove si
snocciolano eventi storici appiattiscono di non poco la visione,
tuttavia tra le dichiarazioni degli anonimi intervistati (il nome non
è rivelato ma si intuisce la loro conoscenza argomentativa:
sono accademici, filosofi, ex-attivsiti) alcuni concetti sanno
fertilizzare, creano connessioni (vi sono delle assonanze impensabili
con la rivoluzione cubana di Castro), si interrogano sullo stato
attuale delle dottrine politiche che hanno disintegrato il ‘900,
puntano il dito sulle fragilità di una democrazia che non
riesce mai ad essere davvero equa, ci restituiscono una serie di
sconosciuti politici thai assoggettati, come tutti i Politici del
mondo, al Potere, testimoniano il labile confine tra ideologia e
fanatismo richiamando le brutalità del vicino di casa Pol Pot.
Insomma, pur tematizzando in modo elementare con uno spirito tutto
didattico e per nulla artistico (addirittura compaiono ogni tanto
sullo schermo delle definizioni esplicative di vocaboli come
Bolscevico o Fascismo), Paradoxocracy non è sicuramente
opera sterile, e comunque al di là di ogni possibile parola è
esattamente quando le parole vengono eliminate che si comprende
appieno la necessità politica di un lavoro del genere, infatti
Ratanaruang, a causa di pressioni dall’alto che in aggiunta hanno
anche tentato di boicottare il film durante delle proiezioni a
Bangkok, è stato costretto a silenziare alcuni passaggi
all’interno del film poiché ritenuti troppo scomodi per
diventare di dominio pubblico. Eppure è proprio col silenzio
coatto che la voce di Prachathipa’Thai si fa più
forte.
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