Iniettatevi questo siero
di pura alterità visiva, The Beast Pageant (2010) è
il film che ancora non avete visto. Debutto a cui fino ad oggi non è
stato dato un seguito da parte di due ragazzi americani, tali Albert
Birney e Jon Moses, ad un’opera del genere non si può che
volere un mondo di bene, e la motivazione, forse un po’ stupida
poiché un filo romantica, è che dà un certo
sollievo sapere che all’interno di quel sistema statunitense che ha
standardizzato la settima arte, esistono ufo destabilizzanti capaci
di opporre una pervicace resistenza alle odiate politiche che li
accerchiano, e non c’è mumblecore che tenga perché
qui siamo ben al di là delle storielle sussurrate che pur
rispettabili non possono di certo accendere la sacra fiamma della
visione. Ad onor del vero The Beast Pageant non è un
prodotto che può considerarsi seminale visto che sono
piuttosto palesi i riferimenti dai quali pesca a mani basse, ma io
credo che quando ad un budget presumibilmente poverissimo si risponde
con la ricchezza delle idee allora la strada è quella che
porta proprio lì, in quei territori dove la libertà
artistica è fine ossigeno che rigenera la proiezione, dove i
canoni crollano e l’andamento si fa imprevedibile, dove la
curiosità verso quali saranno le misure prese dai due registi
per stendere il corso della narrazione diviene benzina ad ottani
infiniti.
Sì, mi si potrà
inoltre obiettare che comunque The Beast Pageant ha una sua
traccia e che forse non è nemmeno troppo innovativa, abbiamo
infatti un ragazzo imprigionato in una realtà alienante che
potrebbe essere vista come un’esacerbazione del sistema
consumistico dove la pubblicità domina l’esistenza e un
momento di umanità è solo la proiezione celebrale
indotta da una sorta di androide domotico ante litteram, io
comunque invito a posare l’attenzione più sul metodo
espositivo che su quello tematico perché è così
che si può comprendere di come ogni storia, alla fine, abbia
potenzialità inesauribili. Volendo concentrarci sulla proposta
del duo Birney-Moses abbiamo l’occasione di sfogliare un album
multicategoriale che muta camaleonticamente pelle in base alle
atmosfere che vive, questa prosperità vivificante che fornisce
una forma prismatica, o forse più una non-forma mercuriale,
mette lo spettatore all’angolo inevitabilmente felice di incassare
colpi che arrivano dalla fantascienza oramai vintage di Tsukamoto e
Pi Greco (1998), dalle finestre oltredimensionali di Lynch (la
presenza sibillina dell’uomo-anguria), dallo stop-motion del grande
burattinaio Švankmajer, dagli
ingressi sonori alla Mihály Víg (giuro!),
dall’imbrunimento quasi horror del finale dove il nonsense riesce
ad assumere lo status di senso, più o meno come
accadeva in The Temptation of St. Tony (2009) di cui The Beast Pageant sembra la versione
“fatta in casa”. Per l’anarchia impiegata dal duo registico il
film in questione potrebbe avere anche qualcosa di accomunabile a
Boro in the Box (2011), sebbene
forse l’accostamento è accecato più da un simile
vestito che da un contenuto chiaramente divergente, invece è
molto più verosimile vedere nei film di Cory McAbee (The American Astronaut [2001]; Stingray Sam [2009]) una traiettoria
cinematografica equipollente, ammesso che il voler ricercare
possibili fratellanze sia un atto intelligente da fare.
Eppure,
oltre tutte le influenze rinvenibili, l’opera di Birney & Moses
mantiene una cifra personale profonda e ammirevole, ed è in
prodotti del genere che una fiammella chiamata speranza continua a
bruciare con tutta una sua signorile dignità nonostante metta
in mostra una follia sgangherata, d’altronde ciò che
chiediamo è solo del buon cinema e quando arriva dagli ultimi
della fila, spiantati ed insospettabili, allora al reale valore si
aggiunge anche dell’altro: la partigianeria nei riguardi di chi
lotta nelle retrovie.
Nota
a margine che scrivo in piccolo vista la sua inconsistenza. A titolo
informativo riporto che quando il ragazzo inizia a vagare nel bosco
tutto ad un tratto si trova al centro di una scena paragonabile al
rito degli arbusti antropomorfi in Alberi
(2013) di Michelangelo Frammartino.
Visionabile qui: https://vimeo.com/groups/awardeo/videos/108922277
RispondiEliminaErasehead 2.0 ma non con quella classe
RispondiEliminaCioè? :D
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