lunedì 11 luglio 2016

Ses

Nete e Noah, gemelli uniti per sempre. O quasi.

La costrizione principale che un cortometraggio deve fronteggiare è il tempo. Soprattutto se il suo impianto è di tipo narrativo allora è necessario saper giocare bene le proprie carte altrimenti il rischio del fallimento è più di un’eventualità. Il danese Ses (2008) rientra nel novero dei lavori di cui sopra, è un film dal taglio lineare tutto concentrato su una scrittura lampante e consequenziale, per cui ad A (Nete che bisticcia con la mamma e Noah che è lì a consolarla) subodoriamo B (ecco che l’idillio si spezza: l’incidente), il problema è che questa facilità di predizione, corroborata dall’inevitabile celerità imposta dalle ristrettezze temporali, non fa di certo bene al film che cade più o meno in tutta la sua interezza sotto i fendenti di un continuo processo “causa-effetto” dall’anticipabile portata: non è solo l’incipit a farci presagire lo svolgimento dei fatti, ma è anche il prosieguo laddove ad un cambiamento di vita come è un trasloco corrispondono le susseguenti variazioni.

In generale mi pare che questo Jesper Waldvogel Rasmussen, alla sua prima e finora ultima da regista, non si sia granché orientato su una direzione personale, i binari da lui percorsi sono appunto binari: strade già tracciate, strabattute, risapute. Ad esclusione del segmento in cui l’incidente è sostituito da un carrello in avanti sulla povera Nete pietrificata sul letto, ispessito da un gioco di luci tendente all’abbrunamento e dalla sovrapposizioni di voci legate all’iter funebre (il dottore, il prete, più presenti così che se fossero stati ripresi nelle loro funzioni), Ses non alza mai la testa dall’ordinarietà, tanto che il suo nucleo, solo apparentemente fantastico, in realtà molto reazionario, produce un percolato altamente nocivo, un qualcosa intriso della stessa obsoleta retorica che permea i film televisivi del pomeriggio, e infatti il finale con quella passeggiata strappalacrime è lì ad evidenziare cotanti limiti.
Nel cast Henrik Birch, già visto in Nothing’s All Bad (2010).

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