Wikipedia inglese ci
ricorda che The War Game, pur essendo stato girato da Peter
Watkins nel 1965, ha visto la luce sugli schermi della popolazione
britannica soltanto vent’anni dopo, giusto in tempo per la
commemorazione del quarantennio di Hiroshima. Quattro lustri di oblio
per un film di siffatta misura, oggidì, paiono un filo
eccessivi, probabilmente il sottoscritto per capire meglio dovrebbe contestualizzarsi nell’epoca di riferimento e tirare in
gioco le questioni della guerra fredda, della Russia, dell’America,
del comunismo, della bomba atomica, ecc. Sempre il sottoscritto ci
prova a comprendere perlomeno l’allora stato d’animo della
gente inglese, ed anche quello di un’Europa terrorizzata dal
possibile riaccendersi di un’altra guerra mondiale a pochi anni di
distanza dall’ultima, resta comunque sconsiderato, nonostante i
tentativi di immedesimazione, il divieto catodico lungo
vent’anni. Al tempo si vede che il lavoro di Watkins, coniato su un
modello di inchiesta bellica, comportava il rischio di una certa
impressionabilità, e in effetti il contesto ucronistico
rappresentato, a fronte di un’esigua facoltà economica, ha
una dignità nel genere post-atomico, finanche qualche elemento
seminale come l’ibridazione dei generi cronachistici, dal reportage
sul campo alle interviste montate successivamente, passando per i
servizi illustrativi con voce over.
A cinquant’anni di
distanza però l’effetto che il mediometraggio vorrebbe
produrre, per chi scrive, si è un po’ attutito. Sarà
che la paura di una guerra atomica è ormai smaterializzata da
decenni, o sarà che la sensibilità sull’argomento ci
è stata allentata dal cinema-spazzatura americano, verità
è che a The War Game non si riesce più a
rivolgere con sgomento e preoccupazione. Ciò è dovuto
al suo impostarsi così tanto esplicativo, che capisco esserne
l’originaria forza trainante ma… nel 2016 il fiato è un
po’ corto, tanto da sfociare in un imbrigliamento da “manuale di
istruzioni”. E si sappia che il post-nuke è un genere che mi ha sempre mandato in fibrillazione per il suo saper imprimere LA
disperazione del genere umano sulla pellicola, a conti fatti però
gli unici esemplari del settore che tramanderei ai posteri sono Dead Man’s Letters (1986) e Threads
(1984), e proprio quest’ultimo, altro film inglese come Quando soffia il vento (1986, ah c’è
anche lui!), pur avendo un metodo di trasmissione similare a The
War Game, anche lì si
riscontrava un taglio semi-giornalistico, negli anni è
riuscito a mantenere pressoché inalterato il proprio impatto
emotivo, forse perché dotato di un’impalcatura narrativa da
vero film, cosa che il lavoro
di Watkins non possiede, onore a lui comunque per aver aperto una
strada che da lì a poco verrà battuta da molti altri
registi.
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