giovedì 7 luglio 2016

The War Game

Wikipedia inglese ci ricorda che The War Game, pur essendo stato girato da Peter Watkins nel 1965, ha visto la luce sugli schermi della popolazione britannica soltanto vent’anni dopo, giusto in tempo per la commemorazione del quarantennio di Hiroshima. Quattro lustri di oblio per un film di siffatta misura, oggidì, paiono un filo eccessivi, probabilmente il sottoscritto per capire meglio dovrebbe contestualizzarsi nell’epoca di riferimento e tirare in gioco le questioni della guerra fredda, della Russia, dell’America, del comunismo, della bomba atomica, ecc. Sempre il sottoscritto ci prova a comprendere perlomeno l’allora stato d’animo della gente inglese, ed anche quello di un’Europa terrorizzata dal possibile riaccendersi di un’altra guerra mondiale a pochi anni di distanza dall’ultima, resta comunque sconsiderato, nonostante i tentativi di immedesimazione, il divieto catodico lungo vent’anni. Al tempo si vede che il lavoro di Watkins, coniato su un modello di inchiesta bellica, comportava il rischio di una certa impressionabilità, e in effetti il contesto ucronistico rappresentato, a fronte di un’esigua facoltà economica, ha una dignità nel genere post-atomico, finanche qualche elemento seminale come l’ibridazione dei generi cronachistici, dal reportage sul campo alle interviste montate successivamente, passando per i servizi illustrativi con voce over.

A cinquant’anni di distanza però l’effetto che il mediometraggio vorrebbe produrre, per chi scrive, si è un po’ attutito. Sarà che la paura di una guerra atomica è ormai smaterializzata da decenni, o sarà che la sensibilità sull’argomento ci è stata allentata dal cinema-spazzatura americano, verità è che a The War Game non si riesce più a rivolgere con sgomento e preoccupazione. Ciò è dovuto al suo impostarsi così tanto esplicativo, che capisco esserne l’originaria forza trainante ma… nel 2016 il fiato è un po’ corto, tanto da sfociare in un imbrigliamento da “manuale di istruzioni”. E si sappia che il post-nuke è un genere che mi ha sempre mandato in fibrillazione per il suo saper imprimere LA disperazione del genere umano sulla pellicola, a conti fatti però gli unici esemplari del settore che tramanderei ai posteri sono Dead Man’s Letters (1986) e Threads (1984), e proprio quest’ultimo, altro film inglese come Quando soffia il vento (1986, ah c’è anche lui!), pur avendo un metodo di trasmissione similare a The War Game, anche lì si riscontrava un taglio semi-giornalistico, negli anni è riuscito a mantenere pressoché inalterato il proprio impatto emotivo, forse perché dotato di un’impalcatura narrativa da vero film, cosa che il lavoro di Watkins non possiede, onore a lui comunque per aver aperto una strada che da lì a poco verrà battuta da molti altri registi.

Nessun commento:

Posta un commento