domenica 20 dicembre 2015

Redemption

Redemption (2013), entr’acte fra la rivelazione Tabu (2012) ed il tripartito Le mille e una notte (Volume 1, Volume 2, Volume 3 - 2015), è film che sa lievitare ed invadere delicatamente più livelli, sicuramente i nostri, perché percettivamente c’è un sentibile dentro questa mezz’oretta, e di riflesso anche da un punto oggettivo il corto si fa terreno fertile per fioriture cognitive intorno e dentro il mezzo cinema. La collaborazione inter-europea che ha dato vita a Redemption vede l’Italia all’importante contributo (c’è lo zampino di Fuori Orario che lo ha mandato in onda su Rai 3 oltre che di Cinecittà la quale – presumo – ha fornito le immagini di Miracolo a Milano, 1951), così come la porzione teutonica che si avvale del denaro messo a disposizione dalla ZDF e dalla voce narrante di Maren Ade, produttrice di lungo corso per Miguel Gomes nonché regista vista con Everyone Else (2009), mentre il primo segmento si genera da documenti appartenenti alla Filmoteca Portoguesa, un’istituzione portoghese che al tempo del corto rischiava la chiusura e di cui ora non ho trovato notizie certe. Il tutto è stato poi assemblato presso la scuola d’arte contemporanea di Le Fresnoy, a pochi chilometri da Lille, dove Gomes ha svolto un periodo di tutoraggio. Quindi, se nel complesso osserviamo il meccanismo produttivo dietro a Redemption, possiamo idealmente scorgere un’enorme ordito tramico adagiato sul Vecchio Continente, il che, in un tempo iper-connesso come il nostro, diventa un sinonimo di attualità, e si tratta di un bel paradosso visto che il film non è altro che il portare all’emersione del Passato.

Anche se Tabu era un’opera diversa, insomma: sceneggiatura, recitazione, ci siamo capiti, ritengo che possa esserci un collegamento concreto con Redemption. Anzi, il link non è per nulla concreto, ciò che li lega è un mood impalpabile che si può catalogare attraverso ampi contenitori quali nostalgia, malinconia, intimità, senza però concordare appieno, forse perché i tasti che sfiora Gomes sono troppo reconditi e appartenenti al regno dell’indescrivibile. Non è un film che cattura emotivamente, sia chiaro, ma la capacità di aleggiare in una dimensione appartata ci fa cogliere una bellezza primordiale, quella dell’infanzia, dell’indimenticato primo amore, della paternità, delle nozze, con il nugolo di paure connesse. È doveroso evidenziare però che quanto appena detto sgorga dall’attuazione di un procedimento filmico dove l’immagine contraddice la narrazione, infatti ciò che vediamo non corrisponde per filo e per segno alla voce over, soprattutto la parte berlusconiana che contempla anche la visione di Mussolini zigzaga in altri nascondigli dell’ieri, ma è proprio qua che sta il pregio capitale di Redemption, il suo essere ramingo, l’evenemenzialità del personale, l’immergersi nel Fiume del Tempo (cit.), la raccolta dei frammenti disparati e la restituzione organica ed unitaria di un flusso penetrante che stringe a sé temi di importanza cogente nel cinema: la forza che ha di richiamare un vissuto, la sua potenza falsificante, la connivenza con la politica che, miracolosamente, con Redemption assume una sfumatura più umana.

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