Redemption (2013),
entr’acte fra la rivelazione Tabu (2012) ed il
tripartito Le mille e una notte (Volume 1, Volume 2, Volume 3 - 2015), è film che sa
lievitare ed invadere delicatamente più livelli, sicuramente i
nostri, perché percettivamente c’è un sentibile
dentro questa mezz’oretta, e di riflesso anche da un punto
oggettivo il corto si fa terreno fertile per fioriture cognitive
intorno e dentro il mezzo cinema. La collaborazione inter-europea che
ha dato vita a Redemption vede l’Italia all’importante
contributo (c’è lo zampino di Fuori Orario che lo ha mandato
in onda su Rai 3 oltre che di Cinecittà la quale – presumo –
ha fornito le immagini di Miracolo a Milano, 1951), così
come la porzione teutonica che si avvale del denaro messo a
disposizione dalla ZDF e dalla voce narrante di Maren Ade,
produttrice di lungo corso per Miguel Gomes nonché regista
vista con Everyone Else (2009), mentre il primo segmento si
genera da documenti appartenenti alla Filmoteca Portoguesa,
un’istituzione portoghese che al tempo del corto rischiava la
chiusura e di cui ora non ho trovato notizie certe. Il tutto è
stato poi assemblato presso la scuola d’arte contemporanea di Le
Fresnoy, a pochi chilometri da Lille, dove Gomes ha svolto un periodo
di tutoraggio. Quindi, se nel complesso osserviamo il meccanismo
produttivo dietro a Redemption, possiamo idealmente scorgere
un’enorme ordito tramico adagiato sul Vecchio Continente, il che,
in un tempo iper-connesso come il nostro, diventa un sinonimo di
attualità, e si tratta di un bel paradosso visto che il film
non è altro che il portare all’emersione del Passato.
Anche se Tabu era
un’opera diversa, insomma: sceneggiatura, recitazione, ci siamo
capiti, ritengo che possa esserci un collegamento concreto con
Redemption. Anzi, il link non è per nulla concreto, ciò
che li lega è un mood impalpabile che si può catalogare
attraverso ampi contenitori quali nostalgia, malinconia, intimità,
senza però concordare appieno, forse perché i tasti che
sfiora Gomes sono troppo reconditi e appartenenti al regno
dell’indescrivibile. Non è un film che cattura emotivamente,
sia chiaro, ma la capacità di aleggiare in una dimensione
appartata ci fa cogliere una bellezza primordiale, quella
dell’infanzia, dell’indimenticato primo amore, della paternità,
delle nozze, con il nugolo di paure connesse. È doveroso
evidenziare però che quanto appena detto sgorga
dall’attuazione di un procedimento filmico dove l’immagine
contraddice la narrazione, infatti ciò che vediamo non
corrisponde per filo e per segno alla voce over, soprattutto la parte
berlusconiana che contempla anche la visione di Mussolini zigzaga in
altri nascondigli dell’ieri, ma è proprio qua che sta il
pregio capitale di Redemption, il suo essere ramingo,
l’evenemenzialità del personale, l’immergersi nel Fiume
del Tempo (cit.), la raccolta dei frammenti disparati e la
restituzione organica ed unitaria di un flusso penetrante che stringe
a sé temi di importanza cogente nel cinema: la forza che ha di
richiamare un vissuto, la sua potenza falsificante, la connivenza con
la politica che, miracolosamente, con Redemption assume una
sfumatura più umana.
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