domenica 6 dicembre 2015

La leche y el agua

Un acquazzone biblico sconvolge la vita di una vecchina e della sua vacca.

La leche y el agua (2006), ultimo short prima del debutto The Thin Yellow Line (2015), è un corto di Celso R. García, regista classe ’76 laureato in Scienze della Comunicazione a Guadalajara, il quale si concentra nell’impostazione estetica per delineare la condizione della sua protagonista: e ci riesce, l’anziana donna si avverte come assolutamente sola poiché la baracca in cui abita è qualcosa di molto simile ad una casa-alla-fine-del-mondo circondata da una terra spaccata dall’aridità e accessoriata di un orizzonte polveroso dall’aspetto sinistramente marziano. Anche se non rientriamo certamente nell’ordine dell’eccezionalità, la percezione che l’esistenza dell’anziana sia fatta esclusivamente di solitudine è un dato che arriva, attraverso codici ordinari, ma comunque arriva. In aggiunta García introduce un pizzico di sentimentalismo con l’altarino dedicato al marito defunto che successivamente avrà un ruolo di primo piano per chiudere il cerchio del film, e non solo quello.

Ma il punto cruciale del corto è la dipendenza tra uomo e animale [1] che trova nel latte il punto di incontro tra i due esseri, non per niente la secrezione mammifera viene come offerta in dono alla foto del coniuge sull’altarino e nuovamente non per niente la grossa pozzanghera generata dalla pioggia torrenziale nel momento in cui la realtà lascia spazio alla surrealtà ricorda il siero bovino: l’acqua fangosa diventa bianca, pozza amniotico-sepolcrale, ricongiungimento latticineo col passato. Chi scrive è rimasto abbastanza soddisfatto del cambio di passo del film che permette di affacciarsi su panorami meno terreni, riuscendo a citare, senza scadere in melensaggini, quel capolinea senile accettato con grande umiltà da chi è l’attore principale di tale viaggio senza ritorno, quel sereno inabissarsi sotto il pelo dell’acqua che ci lascia un monito da prendere e da mettere nel cassetto del comodino: ognuno di noi ha una mucca a cui badare. E non è uno scherzo.
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[1] Il laccio tra la donna e la bestia, che si dimostra indissolubile nel finale, ricorda il documentario coreano Old Partner (2008) dove viene sovrapposta l’agonia di un fattore e quella di un bue che dopo trent’anni di durissimo servizio è obbligato ad andarsene nel paradiso dei buoi.

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