Documentario del 2008 che in Corea del Sud ha riscosso un notevole quanto inaspettato successo. Inaspettato perché il plot su cui si basa quest’opera diretta dallo sconosciuto Lee Chung-ryoul disarma per la sua semplicità. Si narra infatti degli ultimi scampoli di vita di un bue che per trenta lunghi anni si è prestato al servizio del suo padrone contadino. Lavoro duro nei campi, sotto la pioggia, nel fango, su per le viuzze più ripide trascinandosi dietro un carretto di legno come se fosse una condanna ineffabile.
Le riprese si aprono con l’annuncio di un veterinario che decreta la possibilità di vita del bue non superiore ad un anno. Il resoconto che ne segue testimonia di quanto la vita (vita?) del fattore sia massacrante, soprattutto un fattore come questo totalmente restio alle nuove tecnologie e molto spesso più preoccupato di nutrire la sua bestia che di dare ascolto alla moglie.
È interessante il legame invisibile, ma visibilissimo nel cielo delle emozioni, tra il vecchio e l’animale; non c’è una particolare enfatizzazione del rapporto, né la messa in mostra dell’attaccamento uomo-bestia che spesso diventa ridicolo nella nostra società, ma delicatezza quella sì, o meglio: complicità, silenziosa complicità, come lo sono due vecchi compagni che si conoscono da così tanto e così bene che non hanno più niente da dirsi.
Il documentario porta a pensare che in fondo il contadino ed il bue non sono troppo diversi perché entrambi hanno condiviso la stessa massacrante fatica, ed è solo vedendo di quanto le gambe del vecchietto siano smagrite e le mani sporche di terra, verde dell’erba, la schiena spezzata a metà, si può provare a comprendere la frase più bella: “Morirò con lui”. E in effetti l’estenuante agonia dell’animale sembra accompagnarsi a quella del suo padrone che soffre come e più di lui, ma allo stesso tempo questi due esseri viventi, sono, appunto, tali, per un’inconsapevole sostegno reciproco. L’unica ad accorgersi veramente di questo legame è la moglie che a differenza degli altri abitanti del luogo che un po’ sbeffeggiano il vecchio contadino, capisce l’irreversibilità della situazione: finché il bue riuscirà a lavorare allora lo farà anche il povero marito. E allora emerge a tratti un sottile astio nei confronti dell'animale che però non prescinde mai di un forte rispetto.
Sebbene l’argomento principale si esaurisca ben prima della fine e tutto il resto si sviluppi nella ripetitività, il documentario ha comunque una sua grazia. E alla fine, con la morte del bue, vengono toccate le corde giuste dentro di noi.
“Spero che tu finisca in un posto meglio di questo” dice l’anziano fattore. Lo spero anche io.
Di seguito alcuni film da me visti che trattano lo stesso tema da angolature diverse:
Animal Love (1996) di Ulrich Seidl.
Grizzly Man (2005) di Werner Herzog.
Zoo (2007) di Robinson Devor.
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