Un documentario che vuole
illustrare il fashion-business di ragazzine russe imballate e spedite
verso il Giappone dove il mercato richiede volti adolescenziali,
freschi e nuovi? Accidenti, come era successo per il peggior Seidl di
sempre (Models, 1999), senza neanche volerlo la sinossi di
Girl Model (2011) corrisponde esattamente a quanto c’è
da dire sul film; per carità, vi sono ulteriori sfumature che
non mancheranno di essere sottolineate, però ogni plausibile
predizione generata dalla lettura della trama trova conferma sullo
schermo, e allora partendo dal fatto che l’appena tredicenne Nadya
vive in Siberia non stupisce poi molto la sua condizione famigliare
fatta di tanta ma tanta povertà, così come è
ugualmente intuibile che le selezioni delle aspiranti modelle siano
qualcosa che ha poco a che vedere con quelle qualità che
dovrebbero fare di un essere umano una Persona e non un manichino da
vendere al miglior offerente, ma in effetti è puntualmente ciò
che Redmon & Sabin si interessano di catturare, e fin dalla prima
sequenza che riprende uno stuolo di poco-più-che-bambine
sottoporsi al freddo giudizio di gente del settore. Per tutta la
durata di Girl Model manca una forte svolta degna di essere
definita tale, praticamente ogni evento che accade (dalle difficoltà
personali di Nadya nella capitale giapponese, allo “sfruttamento”
finanziario delle varie agenzie) si iscrive tacitamente in una lista
di effetti deleteri per le dirette interessare che anche un soggetto
estraneo all’ambiente immagina e conosce facilmente con dovizia di
particolari.
Si diceva delle
sfumature. Innanzitutto il taglio da denuncia (videocamera in mano,
infiltrazioni nelle maglie del reale con non si sa quanto artificio)
lascia fuori il tema della prostituzione, e per fortuna visto che le
modelle in questione sono ampiamente minorenni (un accenno comunque
lo si fa), il quale a bocce ferme poteva essere plausibilmente
argomento da espletare, invece no: i problemi a cui Nadya va incontro
sono meno immorali, sempre ammesso che truccare e imbellettare come
una bambolina una ragazzetta che dovrebbe fare le scuole medie e
schiaffarla (se va bene) su una rivista sia un atto eticamente
corretto. Comunque sia i registi si preoccupano di far risaltare
l’inadeguatezza della modella in erba che catapultata in un mondo
alieno si trova a dir poco spaesata: la lingua è avversa, la
compagna-collega viene rispedita a casa perché accusata di
aver messo su qualche grammo di troppo, gli scatti fotografici non
remunerati. In tutto questo viene tracciato anche il profilo della
talent scout Ashley Arbaugh, ex modella dedita un tempo a riprendersi
in video confessioni qui montate tra una scena e l’altra, che a
differenza di quanto possa dirci la sua professione è
una donna che in più di un’occasione lascia trasparire un
certo tormento (dovuto soprattutto a problemi fisici molto seri) da
dove si intende di come anche una vita potenzialmente perfetta possa
celare un malessere profondo. Il che, forse, permette ai due registi
di porre un parallelo tra una giovanissima che si affaccia per la
prima volta nel mondo della moda, e una che pur campandoci sopra ne è
uscita mezza logorata.
Le scritte su sfondo nero
che chiudono il film affermano che Nadya dopo essere tornata in
Russia è ripartita verso il Giappone per poi dirigersi in Cina
e a Taiwan, se vi interessa sapere dove si trova in questo momento è
molto semplice, anche lei ha aperto la sua bella e utilissima pagina
Twitter (link) dalla quale cinguettando in inglese non manca di far
sapere dove è ubicata in quell’istante e da dove manda
copiose buonenotti ai fan. (sic)
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