Béla Tarr nasce a Pécs, un paese nel sud dell’Ungheria, il 21 Luglio del 1955. Inizia ad impratichirsi con la cinepresa fin da ragazzino realizzando alcuni cortometraggi. I suoi primi lavori lo portano all’attenzione della Fondazione Béla Balázs che nel ‘79 finanzia il suo primo lungometraggio Családi tűzfészek (Family Nest è il titolo internazionale) all’età di soli ventidue anni.
Non particolarmente prolifico, è salito alla ribalta con film come Satantango (1994) della durata di sette ore e Le armonie di Werckmeister (2000).
Il mio viaggio nella sua filmografia, probabilmente uno degli ultimi che farò se non l’ultimo in assoluto, inizia da qui, da questo Nido di famiglia sul quale Tarr ha detto: “Questa è una storia vera, non è accaduta alle persone nel film, ma potrebbe accadere.”
La trama: all’interno di un piccolo appartamento convivono un padre, una madre, il figlio, Irén, la moglie dell’altro figlio e la loro piccola bambina. Quando Laci, marito di Irén, ritorna dal servizio militare la situazione all’interno della casa si fa insostenibile, così la giovane coppia cerca di ottenere dallo Stato la concessione di un’abitazione, ma senza riuscirci. Nel frattempo le discussioni casalinghe si fanno sempre più incandescenti e la tensione esplode quando il padre scontroso caccia di casa sua nuora.
Ruvido. È il primo aggettivo che mi viene in mente per definire lo stile di Tarr. Vedendo a spizzichi e bocconi alcune sue opere successive noto che in futuro la tecnica verrà affinata di parecchio fino a diventare un vero e proprio fuoriclasse del cinema contemporaneo.
Qui siamo oggettivamente lontani da una certa cura estetica, ma non fraintendetemi, il fatto che Family Nest abbia un aspetto grezzo non inficia il valore dell’opera nella sua globalità. Il film pur non avendo una veste memorabile a causa della macchina da presa puntata costantemente sugli attori, riesce a tradurre il disagio di una classe sociale attraverso dialoghi massicci, a tratti straripanti, grazie ai quali tutto il contorno passa in secondo piano.
Il fatto che il film abbondi di primi piani traballanti degni del miglior Von Trier meno compiaciuto, fa sì che l’ambiente divenga seriamente claustrofobico, senza una via d’uscita. Irén, a conti fatti la vera protagonista della pellicola, tocca con mano l’impossibilità di spiccare il volo, in sostanza: di essere libera.
Se, come ho detto, Nido familiare è costituito quasi esclusivamente da dialoghi, allora è giusto ricordare la discussione tra Irén e un funzionario che mette in lista le famiglie che hanno bisogno di una casa. C’è in questa conversazione l’impotenza del piccolo uomo di fronte al grande sistema che decide per lui.
In questo scenario poco incoraggiante si inscrive la figura del padre. Il capofamiglia, colui che fa quadrare i conti, che si spacca il culo in fabbrica. Un esempio di altezza etica, ma solo in apparenza. Dispensa consigli ai suoi due figli, caccia Irén dandole della puttana (magari con ragione, noi non lo sapremo mai) e poi fa spudoratamente il cascamorto con una donna che lo rifiuta ricordandogli che ha una famiglia.
Family Nest è un film sull’annichilimento dei valori. Una riflessione ben imbastita che tocca argomenti quanto mai attuali. Lo stile (negli ultimi minuti diviene palesemente documentaristico con due strazianti monologhi) attraverso il quale tali questioni vengono trattate non è dei più facili da metabolizzare, ma sono convinto che lo spettatore più rodato ne saprà godere.
Non particolarmente prolifico, è salito alla ribalta con film come Satantango (1994) della durata di sette ore e Le armonie di Werckmeister (2000).
Il mio viaggio nella sua filmografia, probabilmente uno degli ultimi che farò se non l’ultimo in assoluto, inizia da qui, da questo Nido di famiglia sul quale Tarr ha detto: “Questa è una storia vera, non è accaduta alle persone nel film, ma potrebbe accadere.”
La trama: all’interno di un piccolo appartamento convivono un padre, una madre, il figlio, Irén, la moglie dell’altro figlio e la loro piccola bambina. Quando Laci, marito di Irén, ritorna dal servizio militare la situazione all’interno della casa si fa insostenibile, così la giovane coppia cerca di ottenere dallo Stato la concessione di un’abitazione, ma senza riuscirci. Nel frattempo le discussioni casalinghe si fanno sempre più incandescenti e la tensione esplode quando il padre scontroso caccia di casa sua nuora.
Ruvido. È il primo aggettivo che mi viene in mente per definire lo stile di Tarr. Vedendo a spizzichi e bocconi alcune sue opere successive noto che in futuro la tecnica verrà affinata di parecchio fino a diventare un vero e proprio fuoriclasse del cinema contemporaneo.
Qui siamo oggettivamente lontani da una certa cura estetica, ma non fraintendetemi, il fatto che Family Nest abbia un aspetto grezzo non inficia il valore dell’opera nella sua globalità. Il film pur non avendo una veste memorabile a causa della macchina da presa puntata costantemente sugli attori, riesce a tradurre il disagio di una classe sociale attraverso dialoghi massicci, a tratti straripanti, grazie ai quali tutto il contorno passa in secondo piano.
Il fatto che il film abbondi di primi piani traballanti degni del miglior Von Trier meno compiaciuto, fa sì che l’ambiente divenga seriamente claustrofobico, senza una via d’uscita. Irén, a conti fatti la vera protagonista della pellicola, tocca con mano l’impossibilità di spiccare il volo, in sostanza: di essere libera.
Se, come ho detto, Nido familiare è costituito quasi esclusivamente da dialoghi, allora è giusto ricordare la discussione tra Irén e un funzionario che mette in lista le famiglie che hanno bisogno di una casa. C’è in questa conversazione l’impotenza del piccolo uomo di fronte al grande sistema che decide per lui.
In questo scenario poco incoraggiante si inscrive la figura del padre. Il capofamiglia, colui che fa quadrare i conti, che si spacca il culo in fabbrica. Un esempio di altezza etica, ma solo in apparenza. Dispensa consigli ai suoi due figli, caccia Irén dandole della puttana (magari con ragione, noi non lo sapremo mai) e poi fa spudoratamente il cascamorto con una donna che lo rifiuta ricordandogli che ha una famiglia.
Family Nest è un film sull’annichilimento dei valori. Una riflessione ben imbastita che tocca argomenti quanto mai attuali. Lo stile (negli ultimi minuti diviene palesemente documentaristico con due strazianti monologhi) attraverso il quale tali questioni vengono trattate non è dei più facili da metabolizzare, ma sono convinto che lo spettatore più rodato ne saprà godere.
vedo che hai iniziato il viaggio con bela..splendido
RispondiEliminadomanda..che vuol dire ultimo viaggio in assoluto nerlla filmografia.?
Nel senso che dopo Tarr non credo che ripercorrò pari pari la filmografia di un regista film dopo film perché è parecchio faticoso! Questo non vuol dire che smetterò di vedere film, ovviamente.
RispondiEliminaE per la cronaca ho già visto anche il successivo: The Outsider, è praticamente identico a questo ma mi è piaciuto molto di meno.
ai capolavori devi ancora arrivarci..aspetta..ah,mi era venuto il dubbio che volessi chiudere il blog..sarebbe un peccato
RispondiEliminaAh beh di chiudere il blog ci ho pensato in passato (e l'avevo anche fatto), ci penso più o meno ogni giorno, e credo che ci penserò anche in futuro. :D
RispondiEliminaDiciamo che ho un rapporto conflittuale con questo spazio web.
io ho trovato "Satantango" penso che mi cimenterò nella visione in questo periodo.
RispondiEliminaEraser, visto che ora sono di casa, ti posso rompere le balls?
Volevo sapere se avevi visto qualcosa di Bresson, Truffaut, Godard, Bergman, Kieslowski e Tarkovsky. Visto che nel blog non ne parli, probabilmente te li tieni tutti per te, sono curioso di sapere cosa ne pensi!
Ciao! :)
"Nel senso che dopo Tarr non credo che ripercorrò pari pari la filmografia di un regista film dopo film perché è parecchio faticoso!"
RispondiEliminaricordati che di fronte a te hai un bambino dispettoso che non voleva vedere tutto Haneke perchè si era tanto sentito male alla visione di Cachè. Ma che poi ha imparato a non giudicare quel signore losco magro, barbuto con gli occhiali, da un solo film soprattutto per merito di un blog, così il bambino dispettoso è improvvisamente diventato un bambino più educato.
Ehm... non è che gli autori da te citati li tengo tutti per me, è che proprio non li conosco (o quasi); a parte qualcosina dell'ultimo Truffaut, degli altri registi non ho mai visto niente! (vergogna su di me). Anche se devo dire che Tarkovsky mi ha sempre attirato. Cosiccome Bergman.
RispondiEliminaSe vedi Satantango fammi sapere poi com'è così mi preparo psicologicamente ad una maratona senza precedenti. In ogni caso, caro bambino dispettoso ed ora educato, vedrò in che condizioni sarò alla fine del trip Tarr, chissà mai che non intraprenda un viaggio ancora più grande...
bè..sono tutti autori fondamentali..consofglierie un ordine cronologico..parti da bergman e bresson,per arrivare a godard,truffault e tarkowsy..viaggio molto lungo e periglioso,ma di grande gioia..
RispondiEliminaNon farmi venire strane idee va', che già mi hai convinto con Tarr a scatola chiusa. Ogni tanto vorrei anche vivere. :p
RispondiEliminaperchè..vedere dei film che ti riscaldano l'anima non è un bel vivere? eheh..scherozo,ho capito cosa intendi.poi mica devi guardarteli tutti nei prox 15 giorni..
RispondiEliminaLe Cinéma c'est-il plus important que la vie?
RispondiEliminaAddirittura qui si parla in francese... Questo blog si sta elevando culturalmente, tra un po' dovrò cambiare il nome! :p
RispondiEliminaè la domanda che si è chiesto Truffaut per trent'anni, senza trovare risposta. *_*
RispondiEliminaAh. O_O
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