mercoledì 30 dicembre 2009

The Prefab People

Il film si apre con una accesa lite coniugale in cui il marito stizzito vuole andarsene via di casa mentre la moglie implorante gli chiede di restare per lei e per i piccoli figli.
Nella scena seguente i due festeggiano l’anniversario di matrimonio; l’atmosfera sembra rilassata, ma i discorsi pian piano si animano e fuoriesce tutta la frustrazione di lei che vorrebbe stare di più con lui, sempre "impegnato" a guardare la tv o a bere birra, ed emerge il desiderio di uscire per fare compere, e quello di andare a ballare ogni tanto. Tutte cose che la donna non possiede.
Tempo dopo l’uomo, apatico fra le mura di casa, e decisamente più a suo agio al lavoro o con gli amici, sottopone alla moglie un’offerta lavorativa propostagli: stare via due anni, da solo, ma con la prospettiva futura di potersi comprare una macchina o una nuova casa. Lei ovviamente si oppone, e lui pare accantonare l’idea, ma nel finale ecco che quella lite che ha aperto la pellicola (ri)esplode drammaticamente.

Il terzo film di Béla Tarr (1982) prosegue sulla linea dei due precedenti. L’approccio del regista ungherese è dolorosamente realistico nel descrivere la (vuota) vita di questa coppia. Se con Nido familiare (1979) si era occupato principalmente del disagio sociale esterno di una relazione, qui prende in considerazione le difficoltà interne tra un marito e la propria moglie. L’operazione è tanto interessante quanto difficile nella sua realizzazione nell’ottica in cui Tarr ha inquadrato il film. Raccontare di una coppia in crisi non è certo una novità sconvolgente, tuttavia il modo con cui il regista racconta è originale sì, ma anche ostico e "poco piacevole" nel senso che c’è poco gusto nel vedere la storia. Ciò non significa che essa sia insipida o scialba, è piuttosto la maniera in cui viene servita che difficilmente riesce ad in-trattenere.

L’occhio freddo di Tarr riprende le vicende di questa coppia come un’ospite silenzioso. Non esiste un vero e proprio corpus narrativo, sono più che altro piccoli frammenti di vita quotidiana dove si mette in mostra l’effettiva lontananza tra i due protagonisti. I momenti compassati non mancano, ma ogni tanto, se si riesce a leggere fra i fotogrammi, si palesano scenette di ordinaria disperazione molto incisive. Consiglio di notare la donna in lacrime appena dopo il ballo (marchio di fabbrica di Tarr) mentre fuori campo il marito se la canta con gli amici. Oppure il significativo dialogo in cui si esplicita il punto di vista dell’uomo che mette davanti alla famiglia il lavoro con la materialistica prospettiva di acquistare una macchina, e la riluttanza della donna che alla possibilità di poter viaggiare preferisce la stabilità affettiva del focolare.
Cogliere questi aspetti non è un’operazione immediata, ma nemmeno impossibile poiché rispetto a The Outsider (1981), più lungo e più "pesante", la vera anima del film, ossia i dialoghi, seppur molto presenti, sono snelliti e questo giova all’intera visione.

Già da Almanac of Fall (1985) in poi Tarr cambierà registro. Di questa trilogia ufficiosa resta l’impegno del regista nell’aprire uno squarcio sull’Ungheria socialista degli anni ’70-’80 e poco altro. Il valore delle tre pellicole risiede tutto nella valenza storica di indagine sociale che le sorregge, sul versante tecnico non c’è granché di memorabile.

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