Matthew Barney è un’esponente di quella che oggi viene definita arte contemporanea (ma chissà fra cento anni come verrà chiamata!). Leggo che grazie alle sue opere, sempre in bilico tra cinema e scultura, è riuscito a creare intorno a sé una certa aura che gli ha permesso di essere accostato dagli addetti ai lavori a nientepopodimenoche Andy Warhol.
Il suo progetto più complesso è il cosiddetto Cremaster Cycle (il cremastere è un muscolo dei testicoli che regola la reazione dei genitali maschili), una serie di cinque lungometraggi usciti in maniera non cronologica: Cremaster 4, il primo ad essere girato, è datato 1995, mentre Cremaster 1 è del ’96.
Anche Drawing Restraint è un progetto di Barney a tutt’oggi in corso. Fin’ora sono due i film che vi appartengono: questo del 2005, e il numero 15 del 2008, gli altri capitoli – se non ho capito male – non sono film bensì sculture esposte in alcune gallerie d’arte moderna.
Ok. Probabilmente vi interesserà sapere cosa racconta Drawing Restraint 9, ed è qui che viene il difficile. Per cominciare vi dirò che su due ore e mezza c’è soltanto un breve dialogo a circa metà film tra Barney, la co-protagonista Björk (nella vita reale moglie del regista) e un vecchio giapponese che prepara loro del tè. Tutto il resto è silenzio. Sì, ci sono delle parentesi musicali curate dalla stessa autrice islandese che pubblicò nel medesimo anno un album omonimo, ma è più che altro il rumore, o la sua assenza, dei piccoli gesti filmici a fungere da colonna sonora. Il che è parecchio estenuante, devo ammetterlo.
La vicenda si svolge su una baleniera giapponese. La narrazione si sdoppia appena l’uomo e la donna giungono sulla nave: da una parte vediamo come i due si preparano a quello che sarà una specie di rituale, e dall’altra seguiamo l’equipaggio intento a far cose di cui non sono riuscito a cogliere il significato - e capite bene che non comprendere un’acca per due ore e mezza fa girare un pochetto tutti i muscoli testicolari; a proposito, tutto sembra ruotare intorno ad una vasca che ha la forma del Cremaster Cycle contenente della roba biancastra (foto in fondo) -.
Una volta addobbati seconda la tradizione giapponese (ma siamo sicuri?), Barney e Björk si ritrovano nella stanza in cui hanno bevuto il tè ormai circondati dall’acqua. Questa è la scena madre: mentre in sottofondo scorre Holographic Entrypoint, un testo scritto dal regista, tradotto in giapponese e recitato secondo i dettami del teatro Nō (una discreta mattonata sulle gonadi), i due iniziano a tagliuzzarsi, e, sorpresa!, sotto la loro pelle è comparso uno strato bianco simile alla carne dei cetacei, in più dietro il loro collo si è formato uno sfiatatoio, l’organo respiratorio delle balene et simila.
Ma questo è niente rispetto a ciò che si può vedere in quest’opera ben poco prosaica. Ci sono donne subacquee che pescano chissà cosa con delle tinozze; una sorta di obelisco nero che viene recuperato in mare; una specie di enorme spina dorsale che viene adagiata nella stiva della nave; un bambino che vomita in un secchio con del pelo che gli fuoriesce dalla bocca.
Lo sforzo ermeneutico da fare è immane, e, vi consiglio, di lasciar da parte la vostra sete di sapere se guarderete questo film. Drawing Restraint 9 è prima di tutto un esercizio di stile, e se volete ricercarvi dei significati soggiacenti siete liberi di farlo, ma a vostro rischio e pericolo perché rischierete di fondervi il cervello. Godetevi le immagini finché riuscite, fermatevi, e poi ricominciate. Centoquarantaquattro minuti di silenzio non sono uno scherzo.
Il suo progetto più complesso è il cosiddetto Cremaster Cycle (il cremastere è un muscolo dei testicoli che regola la reazione dei genitali maschili), una serie di cinque lungometraggi usciti in maniera non cronologica: Cremaster 4, il primo ad essere girato, è datato 1995, mentre Cremaster 1 è del ’96.
Anche Drawing Restraint è un progetto di Barney a tutt’oggi in corso. Fin’ora sono due i film che vi appartengono: questo del 2005, e il numero 15 del 2008, gli altri capitoli – se non ho capito male – non sono film bensì sculture esposte in alcune gallerie d’arte moderna.
Ok. Probabilmente vi interesserà sapere cosa racconta Drawing Restraint 9, ed è qui che viene il difficile. Per cominciare vi dirò che su due ore e mezza c’è soltanto un breve dialogo a circa metà film tra Barney, la co-protagonista Björk (nella vita reale moglie del regista) e un vecchio giapponese che prepara loro del tè. Tutto il resto è silenzio. Sì, ci sono delle parentesi musicali curate dalla stessa autrice islandese che pubblicò nel medesimo anno un album omonimo, ma è più che altro il rumore, o la sua assenza, dei piccoli gesti filmici a fungere da colonna sonora. Il che è parecchio estenuante, devo ammetterlo.
La vicenda si svolge su una baleniera giapponese. La narrazione si sdoppia appena l’uomo e la donna giungono sulla nave: da una parte vediamo come i due si preparano a quello che sarà una specie di rituale, e dall’altra seguiamo l’equipaggio intento a far cose di cui non sono riuscito a cogliere il significato - e capite bene che non comprendere un’acca per due ore e mezza fa girare un pochetto tutti i muscoli testicolari; a proposito, tutto sembra ruotare intorno ad una vasca che ha la forma del Cremaster Cycle contenente della roba biancastra (foto in fondo) -.
Una volta addobbati seconda la tradizione giapponese (ma siamo sicuri?), Barney e Björk si ritrovano nella stanza in cui hanno bevuto il tè ormai circondati dall’acqua. Questa è la scena madre: mentre in sottofondo scorre Holographic Entrypoint, un testo scritto dal regista, tradotto in giapponese e recitato secondo i dettami del teatro Nō (una discreta mattonata sulle gonadi), i due iniziano a tagliuzzarsi, e, sorpresa!, sotto la loro pelle è comparso uno strato bianco simile alla carne dei cetacei, in più dietro il loro collo si è formato uno sfiatatoio, l’organo respiratorio delle balene et simila.
Ma questo è niente rispetto a ciò che si può vedere in quest’opera ben poco prosaica. Ci sono donne subacquee che pescano chissà cosa con delle tinozze; una sorta di obelisco nero che viene recuperato in mare; una specie di enorme spina dorsale che viene adagiata nella stiva della nave; un bambino che vomita in un secchio con del pelo che gli fuoriesce dalla bocca.
Lo sforzo ermeneutico da fare è immane, e, vi consiglio, di lasciar da parte la vostra sete di sapere se guarderete questo film. Drawing Restraint 9 è prima di tutto un esercizio di stile, e se volete ricercarvi dei significati soggiacenti siete liberi di farlo, ma a vostro rischio e pericolo perché rischierete di fondervi il cervello. Godetevi le immagini finché riuscite, fermatevi, e poi ricominciate. Centoquarantaquattro minuti di silenzio non sono uno scherzo.
ahahahah...hai avuto stile e tatto...si poteva andare giù ben più duri...io sono appassionato di film bizzarri e ufo in celluloide, ma di fronte a questi gratuiti mattoni mi rattrappisco...decisamente Barney è lontano anni luce dalla genialità di Lynch...ma, a forza di detrutturare, quanto è diventato difficile raccontare bene una storia lineare... Eastwood è sempre più solo...e per giunta non so quanto durerà ancora...
RispondiEliminaIn effetti a fine visione volevo sparare a zero su questo macigno. Tuttavia, a mente fredda, ho addolcito un po' la pillola. Resta insostenibile se visto tutto di fila.
RispondiEliminaEccolo qua. Chissà perché mi è scappato e chissà se riesco a trovarlo.
RispondiEliminaLascialo scappare ancora, non ti sei persa nulla :D.
RispondiEliminaBarney è un figo. E secondo me ha anche più senso di un certo Linch.
RispondiEliminaComunque Bjork è islandese !!!!
Giovanni
E c'hai anche ragione c'hai, correggo.
RispondiEliminaMa hai visto altro di Barney?
Ho visto di sfuggita qualche Cremaster. Secondo me sta tutto nell'approccio: i Cremaster sono delle esibizioni plastico scultoree, delle performance post futuriste porno-tecnologiche, ironiche, pop.
RispondiEliminaBasta prenderli bene e magari guardarli a pezzetti. Mentre Linch a volte prende per il culo proprio :). Da manicheo estetico spesso penso che sia meglio fare a meno di un senso, di un plot letterario, costruendo un esperienza formale, che invece dare l'illusione che un senso narrativo ci sia costruendolo sul nulla, lasciando allo spettatore l'impressione che gli sfugga qualcosa quando quel qualcosa non esiste. Ma evitiamo la polemica :P
Giovanni
Lo sai che dopo questa affermazione sarai costretto a guardare ogni giorno da qui all'eternità Eraserhead?
RispondiEliminaCome? Vuoi vederti anche i vecchi corti di Lynch? Prego prego fai pure con comodo :).
Ce l'avevo anche con Strade perdute per la verità. Film godibile fino alla scena di quando sbarella in prigione e si trasforma in un altra persona. Da lì in poi è una caduta a picco.
RispondiEliminaPer fortuna che la colonna sonora è stupenda và :P
Aspetto le recensioni di Valhallah Rising e Vinyan (giusto per dare fastidio :P)
Giovanni
Porta pazienza (ma portane tanta). Tra un paio di giorni mi dovrò anche fermare almeno fino al 23 settembre, infatti sto sparando un po' di cartucce che avevo arretrate.
RispondiEliminaVabbè, ci si legge.
Ciao Giovanni.
Ciao grande. fai buon lavoro
RispondiEliminaGiovanni