lunedì 23 marzo 2020

Mr. X

Negli ultimi tempi si sono registrati un paio di titoli biografici che pur trattando soggetti registici differenti possiedono un substrato similare poiché focalizzati su una concettualità commutativa, mi riferisco ai compendi documentaristici dedicati a Béla Tarr (Tarr Béla, I Used To Be a Filmmaker, 2013) ed a Sharunas Bartas (Sharunas Bartas: An Army of One, 2010), manifestazioni di cinema che rispettano gli autori coinvolti, come spesso la cronaca ce li descrive in entrambi i casi li vediamo refrattari e sfuggenti, due entità lontane dai riflettori e da ogni forma di attenzione anche in lavori che li vedrebbero al centro di essi, adesso a questo dittico si potrebbe aggiungere Mr. X (2014), unaltra opera, al pari di quelle appena citate, firmata da una pressoché esordiente di nome Tessa Louise-Salomé (ma recidiva avendo girato poco prima Drive in Holy Motors, 2013) che si interessa ad una delle figure più eccentriche del cinema europeo, quel Leos Carax che tutti i cosiddetti cinefili conoscono molto bene e che in barba alle leggi del mercato centellina i suoi film di decade in decade. Lapproccio di Louise-Salomé nei confronti di Sua Maestà Leos è un po il medesimo dei colleghi in erba alle prese con il loro pigmalione ungherese e lituano, Carax non si vede quasi mai, si sentono un paio di suoi interventi, vengono mostrate fugaci immagini darchivio, ma laura ectoplasmica che lo circonda non è scalfita nemmeno in un film a lui interamente dedicato. Bene, non troppo, non essendoci un approfondimento del suo pensiero, del suo modo di intendere il cinema, assistiamo ad una galoppata visiva attraverso tutta la sua filmografia partendo da Boy Meets Girl (1984) per arrivare ad Holy Motors (2012).

Si potrà eccepire che pur non essendoci un vero studio sullarte di Carax ci sono le pellicole prodotte negli anni a parlare per lui, vero, ma quelle c’erano e ci saranno per chiunque voglia farsi unidea in proposito, unopinione prettamente soggettiva priva di quei commenti esterni che invece infagottano Mr. X, perché ciò è: un collage di sequenze montate cronologicamente inframezzato dalle considerazioni di illustri professionisti del settore, legittimo e probabilmente anche giusto se si vuole rendere merito ad un tizio che non avendo mai amato gli schemi ci ha fatto innamorare di lui, però mi chiedo se è con un metodo del genere che si può davvero esplorare la visione autoriale di chi ha fatto della poliedricità un marchio di fabbrica, e marzullamente mi do anche la risposta: no, non è la strada giusta perché ognuno di noi sa bene le qualità di Carax e non vi è la necessità che Harmony Korine ci dica quanto gli è piaciuto Rosso sangue (1986) o che altri personaggi più snob di Carax stesso incensino amabilmente il suddetto perché alla fine il documentario si trasforma in un grosso spot pro-Carax che non aggiunge granché a quanto già si sapeva, una specie di commercial decisamente superfluo poiché la fama del signor Alexandre Oscar Dupont è ben al di là delle chiacchiere da Cahiers. Per il sottoscritto ci sarebbe una prassi parecchio più diretta per effettuare un compito di ricerca: un tavolo, un posacenere, una camera fissa su Carax e parole, tante ma tante parole, sue, non degli altri.

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