sabato 21 marzo 2020

IEC Long

Nel ciclo asiatico del duo João Rui Guerra da Mata & João Pedro Rodrigues c’è sempre stato un movimento tendente alla ricerca di un qualcosa, e forse, ora che tale ciclo sembra essere arrivato ad una conclusione proprio con IEC Long (2015), ricercare, non solo come azione diegetica (rintracciare una fantomatica figura femminile in The Last Time I Saw Macao [2012] e Mahjong, 2013), ma anche ed in particolar modo come azione concettuale, ideologica, come congiunzione adibita a mettere in contatto due mondi stracolmi di antitesi che per via di sorprendenti circostanze storiche si sono trovati vicini, appare la meta finale del lungo percorso iniziato nel 2007 con China, China. Alla loro maniera i due registi portoghesi si sono regalati un trattato cinematografico applicato al post-colonialismo, senza fare retorica né politica ci hanno semplicemente mostrato che cosa è rimasto a Macao della colonizzazione lusitana e la risposta è questa: non è rimasto niente, qui non ci sono stati strascichi negli anni a venire, il portoghese, a parte alcune indicazioni in doppia lingua non ha certo sostituito il cantonese, il cibo, la religione, le tradizioni, pressoché nulla di europeo ha attecchito in questo strano Paese di fronte ad Hong Kong. E Rodrigues insieme al suo socio ha capito da subito che nel niente rimasto dall’insediamento dei loro connazionali c’erano ancora dei vecchi fantasmi impolverati, e li hanno cercati per istituire una connessione temporale, per dare, anche, una memoria visiva ad un luogo e ad un’epoca.

IEC Long è essenzialmente la riduzione in scala di un congiungimento, il teatro è il cinema: per buona parte documentaristico, semplice e puro: a Macao, per una qualche ricorrenza, si sparano dei petardi. Lì, un lì che può essere ovunque, si materializzano degli spettri, ciò accade grazie ad un montaggio che pone in sequenza ciò che ora è, ciò che prima era e viceversa. Il flashback stinto si alterna al colore, a volte vi dialoga, altre volte lo penetra (la scena dei quattro tizi oltre le inferriate impegnati in un gioco che forse è il mahjong ), quel che risulta è che nella fabbrica abbandonata di fuochi d’artificio IEC Long non c’è più nessuno a parte i ricordi di una voce ottuagenaria che racconta lentamente, che si prende lunghe pause riempite dagli ectoplasmi che genera. Ecco il ponte dei due João, ponte che è anche e soprattutto ricerca (sì), ricollegare pezzetti smarriti nell’oceano del passato, riabilitare riprese effettuate da chissà chi di persone che lavoravano nella fabbrica per farle risorgere nel presente. Al solito il cinema si dimostra un ottimo medium, e non mi riferisco al lemma latino, intendo proprio come intermediario tra la morte e la vita, la settima arte ha il potere di evocare affiancando soltanto un’immagine ad un’altra, senza bisogno di didascalie. Quelle ci saranno solo alla fine per spiegare il perché del declino economico legato all’industria dei fuochi d’artificio, ma sono dettagli superflui, quello che conta sta prima, anche prima di IEC Long che non sarà nemmeno il migliore esemplare dei film orientali di JPR e JRdM ma che, date le premesse dei titoli passati e data la caratura di chi sta dietro la mdp, va visto e magari, perché no, anche apprezzato.

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