Che nel cinema di Sion
Sono la sessualità sia un aspetto che fa capolino un numero cospicuo
di volte è un dato agilmente stimabile, non tutti lo sanno ma in
passato il regista aveva perfino proposto una propria declinazione
del softcore con Seigi no tatsujin: Nyotai tsubo saguri
(2000), film(etto) superfluo che però dettava già una linea ripresa
poi tra mille altre deviazioni anche in futuro. Se parliamo di
“sesso” dobbiamo comunque precisare che il punto di vista
sononiano non è mai stato, come dire, adulto, le donne che
popolano i suoi lavori sono molto spesso l’impersonificazione di un
desiderio adolescenziale, sono femmine avvenenti bramate da uomini
sbavanti, e sono, inoltre, la rappresentazione di un immaginario
erotico prettamente nipponico dove l’età acerba (certificata dai
succinti abitini scolareschi) stimola evidentemente il testosterone
dei connazionali di Sono. Se in passato stralci di libido affioravano
qua e là (ricordo di sicuro Love Exposure [2008] e Guilty of Romance [2010]), con Eiga: minna! Esupâ da yo! (2015)
il focus su tale tema è forte come non mai, tuttavia va precisato
subito che lo spazio per una lettura pseudo-sociale sul corpo
muliebre e sulla sua condizione nella realtà giapponese è a mio
modo di vedere assente, e se c’è (con susseguente non piena
ricezione per noi occidentali) è una roba che comunque deve
fronteggiare un circuito parossistico fatto di upskirt e reggiseni ad
un passo dall’esplosione che non possono fornire chissà quale
profondità concettuale. Per cui al pari del coetaneo Tag
(2015), pur impegnandoci a rintracciare dei significati sotto la
superficie, il tasso di disimpegno è a livelli elevatissimi tanto
che la visione non può che ricondursi allo schietto intrattenimento.
Il progetto The Virgin
Psychics, che rientra nell’annata più pazza dell’intera
carriera di Sono, è tratto da un manga [1] che l’autore aveva già
adattato al piccolo schermo con la serie Minna! Esupâ dayo!
(2013) e con il film tv sempre del 2015 Minna! Esper Dayo!: Bangai
hen Esper Miyako e iku, qui la dimensione “fumettosa” che si
respira è effettivamente riscontrabile nelle quasi due ore di girato
dove a contrapposizioni elementari buoni vs. cattivi si subordinano
personaggi altrettanto elementari figli di una farsa che definire
grottesca è un po’ troppo, il registro che infatti emerge alla
resa dei conti è più frivolo e infantile che altro, gli accenti
comici tra erezioni istantanee e maschere da Bagaglino non vanno
tanto per il sottile, Sono cazzeggia, come sta ormai facendo dai
tempi di Himizu (2011), e poco sembra importargli di tracciare
un percorso registico che punti ad un miglioramento personale,
l’impressione è che nell’irrefrenabile susseguirsi di
lungometraggi alcuni standard, sia estetici che narrativi, stiano
crollando davanti ai nostri occhi, e questa piega giocosa che diverte
con la medesima facilità che ci si mette a dimenticare quanto visto,
non valorizza nemmeno quelle piccole intuizioni ravvisabili anche in
Eiga: minna! Esupâ da yo! come i dialoghi tra feti nei grembi
materni ricreati poi in forma teatrale e la corrente sentimentale che
viaggia parallela a quella lussuriosa (si fa per dire, tante
chiacchiere e zero fatti) così ingenua ed esacerbata da risultare,
grazie al paradosso, realmente credibile. Lo svago e l’immediatezza
non sono i sentimenti che chi scrive vuole percepire con il cinema,
il sorriso spettatoriale che si genera assistendo all’opera sotto
esame è un feedback di cui Sono non dovrebbe andare granché fiero,
a luci spente non si deposita nulla dell’inscenamento caricaturale
delle pulsioni sessuali umane: ah ah i poteri sexy-ESP, ah ah le
bambole gonfiabili, ah ah. Avanti il prossimo, grazie.
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[1] È ormai una prassi
consolidata quella di affidarsi a testi di altri per il buon Sion,
tra le produzioni recenti abbiamo anche Tokyo Tribe (2014) e
Shinjuku Swan (2015).
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