martedì 2 gennaio 2018

Muerte blanca

È la rappresentazione (artistica, e lo si evidenzia subito) di una tragedia sconosciuta ai più avvenuta nel 2005 quando un folto gruppo di giovani soldati (si parla di quasi cinquanta persone) morirono di freddo sulle Ande cilene, più precisamente nella zona di Antuco. Muerte blanca (2014) non ci né si interroga su come sia accaduta una tale disgrazia, e onestamente è la prima cosa che salta alla mente: è possibile che della gente presumibilmente preparata muoia al gelo durante un’esercitazione? La risposta non risiede qua, forse si trova in un altro film che tratta il medesimo argomento (Blanca oscuridad, 2016), mentre Roberto Collío, pressoché un’esordiente, preferisce di gran lunga puntare sull’atmosfera, e fa bene: il suo lavoro, offerto in un formato che ricorda l’usura della pellicola, compie un gesto di ammirabile intelligenza: faccio un film su dei militari assiderati? Ok, ma i militari non li mostro, Collío, infatti, preferisce muoversi etereo nelle zone, ipotizzo, di Antuco ma non in inverno, si sofferma su e dentro abitazioni disabitate, ne sonda i corridoi oscuri, contempla un fuoco che arde, osserva un orizzonte montano gravido di nuvole cineree, c’è, in buona sostanza, un sentimento di malessere, mortuario, ci sono dei fantasmi, è avvertibile e comprensibile, Collío apre una valvola da dove sfogano spiriti fuligginosi, tanto che, a causa delle recenti visioni lynchiane, non ci sarebbe stato da stupirsi se da dietro un albero fosse sbucato un demoniaco taglialegna chiedendo reiterate volte da accendere.

Il taglio decadente nonché inquietante che il regista è riuscito ad imprimere si deve anche ad un sound design da serie A che coniuga in un’apprezzabile miscela un sonoro in presa diretta, fibrillanti ronzii dronici di elettricità e comunicazioni via radio (magari originali, il che renderebbe la cosa ancora più “forte”), è un composto audio che dà uno spessore davvero ragguardevole al materiale video e che rammenta, se mai ce ne fosse bisogno, la malleabilità dell’oggetto cinema e degli interstizi (esistenziali e, credo, anche politici in questo caso) in cui riesce a penetrare. Ho aspettato finora di citare la peculiarità del cortometraggio in quanto è esattamente in suddetto versante che l’opera mi ha per paradosso convinto meno, devo ammettere che nel paragrafo precedente ho mentito: non è del tutto vero che il contingente militare viene celato allo spettatore, Collío decide di affidare la centralità del tema a dei bozzetti animati molto asciutti che riproducono il biancore della neve e l’annesso smarrimento dei soggetti coinvolti, la tecnica utilizzata, il rotoscoping, anche se sorpassata, ed anzi grazie a ciò, sortisce effetti positivi sul versante estetico, tuttavia è su quello concettuale che chi scrive ha dei dubbi, sintetizzando ritengo che non ci fosse così bisogno di mostrare la sofferenza dei militi (una conseguenza di ciò è appunto un biasimevole picco drammatico con allucinazione genitoriale), se Muerte blanca avesse continuato a galleggiare esclusivamente in quel limbo ectoplasmico fatto di vocii e oscurità avrebbe incontrato maggiormente le mie necessità cinefile che sono lontane dall’esibizione. Bravo Collío comunque, il talento ed il tatto ci sono, quel monolite nero che giganteggia sulla locandina lo si ricorderà a lungo.

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