È la
rappresentazione (artistica, e lo si evidenzia subito) di una
tragedia sconosciuta ai più avvenuta nel 2005 quando un folto gruppo
di giovani soldati (si parla di quasi cinquanta persone) morirono di
freddo sulle Ande cilene, più precisamente nella zona di Antuco.
Muerte blanca (2014) non ci
né si interroga su come sia accaduta una tale disgrazia, e
onestamente è la prima cosa che salta alla mente: è possibile che
della gente presumibilmente preparata muoia al gelo durante
un’esercitazione? La risposta non risiede qua, forse si trova in un
altro film che tratta il medesimo argomento (Blanca
oscuridad, 2016), mentre
Roberto Collío, pressoché un’esordiente, preferisce di gran lunga
puntare sull’atmosfera, e fa bene: il suo lavoro, offerto in un
formato che ricorda l’usura della pellicola, compie un gesto di
ammirabile intelligenza: faccio un film su dei militari assiderati?
Ok, ma i militari non li mostro, Collío, infatti, preferisce
muoversi etereo nelle zone, ipotizzo, di Antuco ma non in inverno, si
sofferma su e dentro abitazioni disabitate, ne sonda i corridoi
oscuri, contempla un fuoco che arde, osserva un orizzonte montano
gravido di nuvole cineree, c’è, in buona sostanza, un sentimento
di malessere, mortuario, ci sono dei fantasmi, è avvertibile e
comprensibile, Collío apre una valvola da dove sfogano spiriti
fuligginosi, tanto che, a causa delle recenti visioni lynchiane, non
ci sarebbe stato da stupirsi se da dietro un albero fosse sbucato un
demoniaco taglialegna chiedendo reiterate volte da accendere.
Il
taglio decadente nonché inquietante che il regista è riuscito ad
imprimere si deve anche ad un sound design da serie A che coniuga in
un’apprezzabile miscela un sonoro in presa diretta, fibrillanti
ronzii dronici di elettricità e comunicazioni via radio (magari
originali, il che renderebbe la cosa ancora più “forte”), è un
composto audio che dà uno spessore davvero ragguardevole al
materiale video e che rammenta, se mai ce ne fosse bisogno, la
malleabilità dell’oggetto cinema e degli interstizi (esistenziali
e, credo, anche politici in questo caso) in cui riesce a penetrare.
Ho aspettato finora di citare la peculiarità del cortometraggio in
quanto è esattamente in suddetto versante che l’opera mi ha per
paradosso convinto meno, devo ammettere che nel paragrafo precedente
ho mentito: non è del tutto vero che il contingente militare viene
celato allo spettatore, Collío decide di affidare la centralità del
tema a dei bozzetti animati molto asciutti che riproducono il
biancore della neve e l’annesso smarrimento dei soggetti coinvolti,
la tecnica utilizzata, il rotoscoping, anche se sorpassata, ed anzi
grazie a ciò, sortisce effetti positivi sul versante estetico,
tuttavia è su quello concettuale che chi scrive ha dei dubbi,
sintetizzando ritengo che non ci fosse così bisogno di mostrare la
sofferenza dei militi (una conseguenza di ciò è appunto un
biasimevole picco drammatico con allucinazione genitoriale), se
Muerte blanca avesse
continuato a galleggiare esclusivamente in quel limbo ectoplasmico
fatto di vocii e oscurità avrebbe incontrato maggiormente le mie
necessità cinefile che sono lontane dall’esibizione. Bravo Collío
comunque, il talento ed il tatto ci sono, quel monolite nero che
giganteggia sulla locandina lo si ricorderà a lungo.
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