sabato 30 ottobre 2010

Vinyan

V-in-yan

Ci sono catastrofi nella storia dell’umanità che pur verificandosi in un dato momento storico hanno la capacità di seminare scorie nell’animo delle persone per poi ripresentarsi prepotentemente in futuro. Lo tsunami thailandese del 2006 fa parte di questi eventi.
Vinyan (2008) prima di mettere in mostra il calvario di questi genitori, e prima ancora di raccontare della scomparsa del loro figlio, inizia con un’onda silenziosa implacabile; ma non lo fa da fuori (noi non vediamo neanche l’ondicina più piccola) bensì lo fa da dentro, da dentro l’acqua. Il turbine vorticoso e vertiginoso dell’incipit appare come la ripresa subacquea di un mare agitato accompagnato da sinistri striduli. Tale ripresa è esemplificatrice della sostanza del film poiché ciò che noi vedremo è un progressivo sgretolamento della figura-madre e della figura-padre, i quali nonostante si smarriscano in un’ambientazione carica, suggestiva e imponente, segnano un percorso che in realtà è estremamente intimo, personale, interno.
Si tratta di una vera e propria discesa verticale nel Male quella di Jeanne e Paul che si distingue per la labilità del confine che separa la realtà dal sogno e viceversa. Una ricerca che si fa impossibile fin dall’inizio (il bambino del video è solo un mucchietto di pixel) diviene pian piano un programmatico imbarbarimento di se stessi.
Fabrice Du Welz con il suo modo di fare cinema cerca di indagare dal dentro, e ci riesce. Quello che troviamo all’interno di quell’uomo e di quella donna, e quello che essi stessi trovano, non è il loro figlio che probabilmente è stato risucchiato dal mare, bensì le dannate scorie depositatesi dopo la tragedia del maremoto sottoforma di bambini incrostati di fango, il vinyan è la proiezione delle paure e delle angosce che sono uscite da loro e da tutti quelli che hanno vissuto l’apocalisse dello tsunami.

Ovviamente il film spicca incredibilmente dalla massa anonima di horror contemporanei (ma questo è un horror?) grazie alla sontuosa ambientazione che lo costituisce. Di certo il fascino e il sottile ma persistente malessere che la giungla labirintica, il mare sulfureo e la pioggia impietosa sono nelle capacità di scaturire appare evidente. Il grande merito va però a Du Welz che risemantizza una meta mondiale del turismo (su quale tipo di turismo è meglio bypassare) in un luogo inquietante, scenario da incubo a occhi aperti.
Sono pregevoli alcuni accorgimenti tecnici, dal tuffo in acqua di Jeanne (brava Emmanuelle Béart!) che è letteralmente seguito a ruota dalla mdp in mare – ve l’ho detto che questo film non si ferma in superficie – all’incredibile inquadratura aerea (retaggio di Calvaire, 2004) che avvolge sinuosamente l’entrata dei genitori nel tempio abbandonato, passando per la rappresentazione dei bambini fantasma che non si dimenticheranno tanto facilmente.

Du Welz si conferma un regista interessante e soprattutto interessato al suo lavoro con una ricerca stilistica e testuale che lo proietta nell’olimpo delle promesse del cinema fantastico, speriamo che sia capace di mantenerle queste promesse.

5 commenti:

  1. Film stupendo.

    Grazie per la recensione.

    Giovanni :)

    Ps. ieri ho visto Inception a cinema, e, nonostante io ami i film sottovoce piu' dei "colossal", merita troppo.

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  2. Penso che certi film vadano visti a prescindere dai propri gusti, io non l'ho visto Inception, il che è tutto dire della mia "cinefilia"...

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  3. Questo di sicuro. Come Avatar ad esempio.

    Ti consiglio comunque di vedere Inception, se fai in tempo a cinema.

    Giovanni

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  4. Eh, infatti non ho visto nemmeno Avatar.
    E poi continuo a tenere un blog sul cinema, tsk.

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  5. Su su. Tutti facciamo degli errori :)

    Gio

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