Figlia sordomuta accudisce il padre-padrone-amante affetto da una qualche malattia neurodegenerativa nella casa di famiglia in cui si mescolano fantasmi del passato e solitudini del presente.
Pellicola d’esordio (e si sente) per Choi Wee-an, ennesimo prodotto del fulgente vivaio sudcoreano.
Ispirazioni kimmiane nemmeno troppo velate – insistenza sulle rane e tentativo di coniugare crudeltà con lirismo –, inesperienza dietro la mdp, uno o due passaggi al limite del professionismo – evitabilissime le tentazioni del padre sottoforma di diavolette al pari dei ralenti che invece di enfatizzare ridicolizzano – e uno sfilacciamento oggettivo della trama nell’ultima mezz’ora fanno di Jeo-nyeok-eui gae-im un’opera dissolta, imprecisa, squilibrata.
Ma con guizzi di fascinazione.
Si tratta più di ogni altra cosa del substrato culturale di quei luoghi che essendo così distante dal nostro riesce a rendere attraente anche una mala storiella raccontata ancora peggio. Per cui incuriosisce anche la semplice quotidianità di un nucleo famigliare: mangiare, dormire, lavarsi, giocare, tutti gesti con un carico ritualistico differente da quello occidentale.
Anche le emozioni, sebbene immagino universalmente sentite, sono trasmesse dai film orientali con un tiro, a prescindere dall’efficacia, sempre diverso dal nostro.
Per questo il sordido legame padre-figlia mi è parso puntellato di una certa commiserazione piuttosto che una totale condanna, cosiccome era lecito aspettarsi, nei confronti dell’uomo che ha letteralmente distrutto e deviato la vita della ragazza.
La sessualità, anch’essa e probabilmente oltre ogni argomento zenit della nostrana percezione, è una strana miscela di istinto, crudezza e poesia. Un mix che alterna sequenze dure (la fellatio incestuosa) ad altre più delicate (l’autoerotismo sul letto), in un quadro complessivo non riuscito nella globalità ma solo nei particolari.
Si ricorderà per chi vedrà la scena della pozzanghera dal discreto impatto visivo che stride con le frequenti docce/bagni dei protagonisti. Questa come altre parentesi oniriche restano scollate dal corpo del film, ma prese singolarmente hanno una dignità formale dovute ad una buona tecnica, sebbene ancora da affinare appieno. Curioso accorgimento: molte riprese sono effettuate da dietro teli semitrasparenti quasi che l’occhio della camera spiasse il set.
Il finale dà significato al titolo, ovvero sconfessa la tesi di Rossella O’Hara poiché ogni giorno è uguale agli altri in un cerchio beffardo, come una musica bellissima che non può essere sentita.
io adoro la sudcorea! questo film mi mancava, grazie per la rece, lo metto immediatamente in down.. ;)
RispondiEliminaGrazie mille arwen, se non faccio a mia volta una classifica non è per scortesia ma perché sono dannatamente pigro! Arigrazie
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