giovedì 6 novembre 2008

Storie di vita e malavita

“Carlo Lizzani, autore estremamente produttivo,ha vissuto tutte le stagioni del cinema nazionale, dal neorealismo ai giorni nostri,attraversando tutti i generi cinematografici senza mai perdere il suo stile misurato,realistico ed elegante. Sceneggiatore, regista, produttore, intellettuale lucido con il gusto per la letteratura e per la storia, è stato anche critico e storico del cinema, ricoprendo di volta in volta tutti i ruoli che competono a un cineasta. Testimone del “secolo breve” e dell’evoluzione della sua società, non ha mai perso, pur nella sua lunga carriera, la carica ideale ed umana degli esordi.”
Così recita una breve biografia di Carlo Lizzani presente nella guida della mia facoltà. Qui sul blog mi sono occupato di lui con La casa del tappeto giallo (1983) che insieme a Storie di vita e malavita (1975) non risultano come due dei suoi film più famosi, e oso dire (perché non ne ho visti altri) neanche i più riusciti. Però i temi che – e come li – affronta Lizzani sono “degni” della mia attenzione. D’altronde questo è Oltre il fondo, se no si sarebbe chiamato Settimo cielo.

Questo è un film che avrebbe dovuto durare solo mezz’ora, la prima. Oppure mantenere la sua lunghezza occupandosi esclusivamente dell’episodio numero uno. La storia di Rosina, la prima appunto, è a mio parere l’unica decente. Si riscontra un minimo di spessore nei personaggi e una trama “congegnata” nell’ottica di interessare lo spettatore, riuscendoci anche, ma senza grossi sussulti. Il problema di fondo è che tutte le vicende successive sono una copia sbiadita di questa, già pallida e apatica di per sé. I personaggi che si susseguono, dai “protettori” alle giovani prostitute, sono gli uni le riproduzioni praticamente identiche degli altri: cambia soltanto l’estrazione sociale di alcune delle ragazze, a volte borghese altre volte proletaria. Ma il disagio personale che vivono è lo stesso. Ovvio che sentir dire da una delle giovani che “fa la vita” per avere delle esperienze… beh mi cadono un po’ le braccia e non solo quelle. Per di più le varie situazioni che portano le ragazze sulla strada sono estremamente romanzate tanto da travisare la ricerca sociale da cui il film prende spunto, ed a inficiare tale questione ci pensano quelle allusioni erotiche inclinate al lesbicismo tanto anni '70 quanto fuori luogo.

È buffo sentire negli attori (credo non professionisti) una forte inflessione dialettale a cui noi non siamo più avvezzi, è un po’ meno buffo perdere due ore di vita per questo film, ma sono convinto del fatto che avventurandosi nel labirinto dell’adolescenza c'è chi ha fatto molto di peggio: Maladolescenza (1977).

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