domenica 2 novembre 2008

Gummo

In un paese di nome Xenia, in Ohio, “un tornado si è abbattuto sul villaggio. In tanti sono rimasti uccisi, qui sono morti cani, sono morti gatti, case spaccate a metà, collane e braccialetti sopra gli alberi. I morti avevano le ossa che gli uscivano dalla testa, Oliver ha trovato una gamba sul letto. Molti padri di famiglia sono morti durante il grande tornado, io ho visto una ragazza volare per aria, e gli ho guardato sotto la gonna.

È questo l’incipit di Gummo, che poi sarebbe il nome dell’uragano, raccontato con voce sofferente da Solomon, il ragazzino smagrito protagonista insieme a Tummler, orfano del padre e cacciatore di gatti.

In breve il film, che non ha una sua logica sequenzialità, è un susseguirsi di scenette immorali attuate da personaggi ancora più immorali, che hanno come filo conduttore l’aver qualcosa in comune con Solomon e Tummler.
Così si viene a scoprire che a Xenia un ricettatore compra gatti per un ristorante cinese in cambio di colla da sniffare, oppure che una ragazza ritardata si prostituisce per volere del padre (o fratello?). Mentre un bambino con le orecchie da coniglio vaga per il paese come un’anima in pena.

La prima pellicola di Hrmony Korine ha l’intento di non lasciare indifferenti. Questo proposito è però rimasto tale nei miei confronti, tanto che a poche ore di distanza ho un ricordo sbiadito della vicenda e probabilmente tra un paio di settimane l’avrò scordata dal tutto. Con tutta sincerità trovo poco intriganti le turpi storie raccontate perché troppo slegate dal contesto e tra di loro, ma soprattutto non sono “brucianti”, non graffiano. Di prostituzione minorile ne ha parlato Lizzani in Storie di vita e malavita nel 1975, di gratuita violenza sugli animali ne abbiamo fin sopra i capelli con i cannibal anni '70 (e loro non scherzavano affatto), sul rapporto adolescenti-droga nel '97 si era già detto qualcosa con Ritorno dal nulla, sulla provincia americana media Todd Solondz aveva detto la sua con l’amaro Fuga dalla scuola media (1995).
Le riprese di Korine sono insolitamente originali, sporche e nevrotiche, ed anche la fotografia contribuisce a trasmettere un senso di degrado che non è di certo ai livelli di Totò che visse due volte (1998), ma che rende l’idea di uno sterramento delle coscienze, come se l’uragano insieme agli alberi e alle case si fosse portato via anche il senso morale degli abitanti di Xenia, o forse tornado o non tornado loro saranno sempre così.

Gummo non aggiunge niente di nuovo. Nessun pugno nello stomaco, ma quasi una ricerca ostinata nel volere stupire laddove altri lo avevano già fatto in passato.

3 commenti:

  1. Credo che il film abbia un'impatto formale molto forte, che non lascia indifferenti nella sua nevroticità e sporcizia. Il pianosequenza finale del Bunny Boy è potente... ce ne fossero di registi che riuscissero a tirare fuori una cosa del genere. A me è sembrata una versione più umana dell'apocalisse in Melancholia di Lars Von Trier. Anche qui c'è un evento naturale che risucchia l'umanità e la fa in melle pezzi. E quel tornando identificato come "Gummo" con il simbolo anticristiano nei titoli di testa, in realtà nel finale si rivela simbolicamente e spietatamente una vera e propria punizione divina nei confronti di un mondo sostanzialmente già morto.
    Per me è stato più un pugno al cuore che sullo stomaco, come fai notare tu, l'indagine sociale non spaventa neanche tanto perchè è anche molto ostentata e non funziona come dovrebbe.
    Eppure sono sicuro che gli ultimi dieci minuti fanno di questo film un'opera ricca e diversa.

    RispondiElimina
  2. L'ho totalmente rimosso, comunque mi fido molto di più delle tue parole che delle mie scritte nell'ormai lontano 2008.

    RispondiElimina
  3. Anche a me, nel 97, era piaciuto molto, l'ho trovato aggraziato e penetrante. Ma tu hai scritto di Spring Breakers? Il sottoscritto -forse- riuscirà a dedicargli quell'unica recensione all'anno che ormai sono in grado di mettere insieme....

    RispondiElimina