Daniele Ciprì e Franco Maresco sono due controversi registi siciliani del panorama italiano e dunque molto interessanti, almeno secondo i miei gusti.
Per farvi una vaga idea del loro stile e degli argomenti che affrontano vi basterà ricordare gli episodi di Cinico tv, quella serie proposta in Fuori Orario su rai 3 ambientata in una Sicilia mostruosa abitata da storpi e obesi, se non la ricordate c’è sempre Youtube che può darvi una mano.
Questo film è del 1998, tre anni prima il duo girò Lo zio di Brooklyn che ha in comune con Totò che visse due volte e Cinico TV l’ambientazione e la totale assenza di personaggi femminili, infatti le donne presenti sono uomini travestiti.
Il film è suddiviso in tre capitoli.
Nel primo si racconta la storia di Paletta (Marcello Miranda), lo scemo del villaggio preso a secchiate di piscio in faccia, frequentatore di cinema porno (il film si apre con un tizio che si monta un asino, tale scena è ripresa da Lo zio di Brooklyn) e povero in canna, che vede nell’arrivo in paese di una formidabile prostituta l’occasione per sfogare i suoi impulsi sessuali. Non avendo un soldo bucato il povero Paletta decide di rubare i valori di un’edicola religiosa costruita in onore della madre di un boss religioso. Ma mentre aspetta il proprio turno nell’anticamera della prostituta dei rapinatori irrompono nella stanza e derubano i clienti del loro denaro. Alla fine il boss mafioso scoprirà che è stato Paletta a rompere l’edicola e lo metterà al posto di Gesù Cristo all’interno di essa.
Nel secondo, che a mio parere è un piccolo gioiello, si assiste alla veglia funebre di Pitrinu, un omosessuale innamorato di Fefè, uno sdentato signore di mezza età che ha paura di recarsi al capezzale del compagno perché Bastiano, il fratello di Pitrinu, non ha mai accettato la relazione tra i due. Convinto da alcuni paesani, Fefè si reca in casa di Pitrinu e quando si trova dinanzi al morto partono dei flashback e si scopre che in realtà Fefè è un miserevole perché è uscito con Pitrinu solo per prendersi l’anello che portava al dito. E quando Bastiano si distrae Fefè sfila l’anello dal dito del morto e scappa portandosi via un pezzo di cacio.
L’ultimo capitolo è una rivisitazione sarcastica degli ultimi giorni di Gesù.
Un mafioso chiamato Don Totò scioglie nell’acido un uomo di nome Lazzaro. Per farlo resuscitare viene chiamato un burbero messia detto Totò che riesce a farlo rivivere, ma Lazzaro risorto inizia ad uccidere per vendetta i suoi sicari, così uno storpio (Giuda) arrabbiato per il fatto che Totò non lo curasse tradisce il suo maestro e lo consegna al mafioso Don Totò che lo scioglierà nell’acido.
Nel frattempo un angelo viene violentato da tre obesi e da un demente eccitato (copula con una gallina e la statua della Madonna) che finirà sulla croce insieme a Paletta e a Fefè.
Innanzi tutto qualche informazione tecnica: i dialoghi sono in siciliano stretto accompagnati da sottotitoli in italiano; alla vigilia della sua uscita nelle sale fu dichiarato “vietato a tutti” dalla censura, per poi essere sbloccato in appello, io vi assicuro che a parte il primo piano di un uomo che si masturba, ma è sempre un’inquadratura “sporcata” dal bianco e nero sgranato che caratterizza il film, non c’è nulla di così scandaloso. Certo vedere un uomo che tenta di far sesso con una statua della Madonna non è roba per bambini, ma trovo molto più diseducativo e violento, nel senso di violazione dell’intelligenza umana, Daniele Interrante ubriaco in Troppo belli (2005).
La peculiarità di Totò che visse due volte è l’ambientazione. I due registi hanno creato una Palermo mai vista: apocalittica e buia, diroccata e dispersa come le coscienze degli uomini che la abitano.
Nietzsche sarebbe andato a nozze con questo film. L’assenza di Dio trasuda dal comportamento degli uomini che si abbandonano ai piaceri istintivi quasi elusivamente sessuali. I vari personaggi sono brutti, sporchi, dementi, incapaci di risorgere e destinati a sprofondare sempre di più nel marciume che li circonda, l’ultima scena del secondo episodio è emblematica: Fefè ha rubato l’anello e nel letto di casa sua viene circondato da una marea di topi, quell’uomo merita di stare in una fogna.
La fotografia è meravigliosa, i giochi di luce e di buio sono sapientemente dosati, e anche la sala d’aspetto di un bordello sembra tremare sotto i colpi dei tuoni di un temporale.
C’è amara ironia, e anche un po’ di compiacimento, non lo metto in dubbio. Ma vale più un compiacimento del genere o quello di qualche merdata che mostra per il semplice gusto di mostrare?
Questo è cinema coraggioso che va incoraggiato.
Per farvi una vaga idea del loro stile e degli argomenti che affrontano vi basterà ricordare gli episodi di Cinico tv, quella serie proposta in Fuori Orario su rai 3 ambientata in una Sicilia mostruosa abitata da storpi e obesi, se non la ricordate c’è sempre Youtube che può darvi una mano.
Questo film è del 1998, tre anni prima il duo girò Lo zio di Brooklyn che ha in comune con Totò che visse due volte e Cinico TV l’ambientazione e la totale assenza di personaggi femminili, infatti le donne presenti sono uomini travestiti.
Il film è suddiviso in tre capitoli.
Nel primo si racconta la storia di Paletta (Marcello Miranda), lo scemo del villaggio preso a secchiate di piscio in faccia, frequentatore di cinema porno (il film si apre con un tizio che si monta un asino, tale scena è ripresa da Lo zio di Brooklyn) e povero in canna, che vede nell’arrivo in paese di una formidabile prostituta l’occasione per sfogare i suoi impulsi sessuali. Non avendo un soldo bucato il povero Paletta decide di rubare i valori di un’edicola religiosa costruita in onore della madre di un boss religioso. Ma mentre aspetta il proprio turno nell’anticamera della prostituta dei rapinatori irrompono nella stanza e derubano i clienti del loro denaro. Alla fine il boss mafioso scoprirà che è stato Paletta a rompere l’edicola e lo metterà al posto di Gesù Cristo all’interno di essa.
Nel secondo, che a mio parere è un piccolo gioiello, si assiste alla veglia funebre di Pitrinu, un omosessuale innamorato di Fefè, uno sdentato signore di mezza età che ha paura di recarsi al capezzale del compagno perché Bastiano, il fratello di Pitrinu, non ha mai accettato la relazione tra i due. Convinto da alcuni paesani, Fefè si reca in casa di Pitrinu e quando si trova dinanzi al morto partono dei flashback e si scopre che in realtà Fefè è un miserevole perché è uscito con Pitrinu solo per prendersi l’anello che portava al dito. E quando Bastiano si distrae Fefè sfila l’anello dal dito del morto e scappa portandosi via un pezzo di cacio.
L’ultimo capitolo è una rivisitazione sarcastica degli ultimi giorni di Gesù.
Un mafioso chiamato Don Totò scioglie nell’acido un uomo di nome Lazzaro. Per farlo resuscitare viene chiamato un burbero messia detto Totò che riesce a farlo rivivere, ma Lazzaro risorto inizia ad uccidere per vendetta i suoi sicari, così uno storpio (Giuda) arrabbiato per il fatto che Totò non lo curasse tradisce il suo maestro e lo consegna al mafioso Don Totò che lo scioglierà nell’acido.
Nel frattempo un angelo viene violentato da tre obesi e da un demente eccitato (copula con una gallina e la statua della Madonna) che finirà sulla croce insieme a Paletta e a Fefè.
Innanzi tutto qualche informazione tecnica: i dialoghi sono in siciliano stretto accompagnati da sottotitoli in italiano; alla vigilia della sua uscita nelle sale fu dichiarato “vietato a tutti” dalla censura, per poi essere sbloccato in appello, io vi assicuro che a parte il primo piano di un uomo che si masturba, ma è sempre un’inquadratura “sporcata” dal bianco e nero sgranato che caratterizza il film, non c’è nulla di così scandaloso. Certo vedere un uomo che tenta di far sesso con una statua della Madonna non è roba per bambini, ma trovo molto più diseducativo e violento, nel senso di violazione dell’intelligenza umana, Daniele Interrante ubriaco in Troppo belli (2005).
La peculiarità di Totò che visse due volte è l’ambientazione. I due registi hanno creato una Palermo mai vista: apocalittica e buia, diroccata e dispersa come le coscienze degli uomini che la abitano.
Nietzsche sarebbe andato a nozze con questo film. L’assenza di Dio trasuda dal comportamento degli uomini che si abbandonano ai piaceri istintivi quasi elusivamente sessuali. I vari personaggi sono brutti, sporchi, dementi, incapaci di risorgere e destinati a sprofondare sempre di più nel marciume che li circonda, l’ultima scena del secondo episodio è emblematica: Fefè ha rubato l’anello e nel letto di casa sua viene circondato da una marea di topi, quell’uomo merita di stare in una fogna.
La fotografia è meravigliosa, i giochi di luce e di buio sono sapientemente dosati, e anche la sala d’aspetto di un bordello sembra tremare sotto i colpi dei tuoni di un temporale.
C’è amara ironia, e anche un po’ di compiacimento, non lo metto in dubbio. Ma vale più un compiacimento del genere o quello di qualche merdata che mostra per il semplice gusto di mostrare?
Questo è cinema coraggioso che va incoraggiato.
L'ho visto, come anche "Lo zio di Brooklin". E' un tipo di Cinema particolare (hai spiegato tutto tu molto bene)che può non piacere. Io non esprimo un giudizio definitivo e dettagliato, ma non credo che lo rivedrò una seconda volta. A parte questo gran bel commento, fossi in te contatterei qualche rivista o quotidiano che recensissce film, perchè secondo me sei davvero bravo in questo.
RispondiEliminaDIMENTICAVO!!!
RispondiEliminaNon centra nulla con questo post, ma speriamo che stasera el Principe riservi per la Roma lo stesso trattamento che ha avuto per il Milan...
Ma Lo zio di Brooklyn com'è? Uguale a questo?
RispondiEliminaPer stasera speriamo...però la vedo dura, la Roma si è ripresa (forse), comunque io sarò allo stadio a fare gli scongiuri :p
Io non l'ho visto, però ricordo che ci furono polemiche per la scena della crocifissione, qualcuno lo paragonò al cinema di Pasolini pure,ricordo che causò scandalo e che non è stato proiettato in molti cinema. Vederlo può essere uno spunto interessante. :)
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