lunedì 16 maggio 2016

Il silenzio di Pelešjan

Inutile dire che Il silenzio di Pelešjan (2011) andrebbe visto soltanto dopo un’approfondita conoscenza di Artavazd Pelešjan, perché quello di Pietro Marcello non è un film che vuole essere biograficamente esaustivo, di fronte alla sfuggevolezza del regista armeno il nostro documentarista casertano si limita a carpire, quasi a contemplare, stralci di un monumento impassibile come il cinema che ha prodotto fino a metà degli anni novanta, brandelli d’avanguardia che nascono da un’incessante voglia di ricerca.

Il sottoscritto di Pelešjan non aveva visto nulla prima di questo film, e per questo dovrei tacere, così come dovrei tacere sempre, al contrario Marcello è autore su cui sono stati puntati i fari addosso per la sua tendenza ad ibridare il documentario partorendo un genere che continuo a ritenere una delle poche strade capaci di condurre alla salvezza il cinema italiano narrativo e non (si vedano Frammartino o Comodin per ulteriori chiarimenti); così dopo Il passaggio della linea (2007) e La bocca del lupo (2009) Marcello afferma la propria tendenza nell’occuparsi di personaggi periferici, figure ai margini che, davvero, non chiedono né vogliono niente: Pelešjan non parla nella diegesi, la sua afasia viene ribaltata da Marcello con le immagini che creano un duplice registro, forse triplice, o addirittura infinito, caricandosi l’onere di illuminare una filmografia oscura confrontandola con i gesti usuali (fare zapping alla tv) di chi l’ha creata, tributando una linea di pensiero che milita laggiù dove il cinema è, ogni giorno, ancora da scoprire, e quindi da sentire, e da amare.

2 commenti:

  1. Per una volta mi tocca dissentire.

    Anzi, secondo me il silenzio di Pelešjan è stato tale perché Pelešjan aveva visto come buttavano le cose e ha deciso di tacere. Seriamente, Marcello è probabilmente una delle persone più abiette per ciò che concerne il cinema indipendente o, meglio, supposto tale, italiano: basta pensare a "La bocca del Lupo", a ciò che Marcello aveva promesso al protagonista e come invece, alla fine, l'ha abbandonato a se stesso, e mentre Marcello si prendeva i premi per i festival, lui tornava a vivere nella discarica da cui Marcello gli aveva promesso di tirarlo fuori... per non parlare dell'ultimo film, peraltro. Un altro prete, come Frammartino, paraculato da tutte e le parti e pure cinematograficamente idolatra.

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  2. Ciao Yorick, il mio apprezzamento nei confronti di Marcello si indirizza essenzialmente verso La bocca del lupo (questo e Il passaggio della linea sono poca cosa), ma il motivo è un po' stupido e non molto "professionale", il punto è che quel film è ambientato nella mia città che è Genova e che è così come ci viene mostrata: una poesia tra mare e vicoli sudici, e puttane e insenature nascoste. Sono molto legato al luogo in cui sono nato e credo che Marcello sia stato davvero bravo a coglierne lo spirito. Per la cronaca il protagonista della Bocca del lupo era una faccia che fin da ragazzino vedevo bazzicare nei dintorni della stazione principale, era una faccia che, giuro, ti trasmetteva qualcosa. Adesso non lo vedo da anni, magari è morto, magari se la gode alla faccia di Marcello e alle sue sovvenzioni Rai e alla faccia di quel satrapo di Ghezzi.
    Capisco il tuo discorso sulla finta indipendenza e lo condivido. Bella e perduta non l'ho visto.

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