martedì 9 novembre 2010

Liverpool

Si può vedere metaforicamente il cinema di Lisandro Alonso come la trasposizione su pellicola degli spazi bianchi tra una vignetta e l’altra di un fumetto. La sua arte ci mostra quel che accade prima del “poco dopo” attraverso fotogrammi di solito non detti giungendo a costruire un’intelaiatura che al pari dei tre film precedenti si interessa di più ai micro eventi che ai macro eventi.
Qua si ha un uomo, Farrell, che lasciata la nave mercantile in cui lavora si mette in viaggio verso il paesino natale per rivedere la madre malata. Oltre ad avere un paio di rimandi a Los muertos (2004) con le immagini di Farrell che assapora la libertà bevendo alcol e passando una serata al night, si nota pian piano che il ricongiungimento con la madre (evento macro, ossia ciò che dovrebbe fungere da asse portante nella storia) è scavalcato da scene che sfiorano l’antinarrazione: i preparativi per scendere dalla barca, il locandiere che discute via radio sulle condizioni atmosferiche, l’uomo anziano che controlla se qualche animale è caduto nelle sue trappole (eventi micro, parentesi, intermezzi dilatati al limite della sopportabilità).
Fintanto che quando avviene il fatidico incontro tra madre e figlio non ce ne accorgiamo nemmeno. Camera puntata sulla vecchia a letto, Farrell entra e iniziano a parlare. Punto.

Liverpool è un film che decentra quindi. Se non è il rapporto fra i due famigliari a trainare la storia allora è obbligatorio chiedersi che cosa Alonso volesse dire con questo film. E non ho trovato una risposta convincente. Ci sono dei possibili spunti da afferrare qua e là – il ruolo della ragazzina è tutto da (non) capire –, resta comunque un’operazione complicata che nasconde sempre dietro l’angolo il pericolo dello sbadiglio. L’anticonformismo di Alonso raggiunge l’apice quando “permette” al suo protagonista di svanire in un innevato campo lunghissimo che lo allontana per sempre dalla cinepresa. Non abbiamo saputo niente di lui né prima né durante e men che meno dopo la fine della pellicola.
Quello che resta invece è l’ambiente, che sia una giungla o i corridoi di un cinema, è nei luoghi e nei posti che si costituisce il cinema alonsiano, ma come detto all’inizio i suoi lavori sono spazi bianchi senza geografia e così il luogo diventa un non-luogo e il posto diventa un non-posto. E tali spazi vengono tradotti per noi dalla mdp in ambienti asettici e decontestualizzati.
Difficile da comprendere? È Lisandro Alonso.

9 commenti:

  1. è un regista che mi manca ancora. prima o poi....
    ciao

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  2. L'avevo visto in una rassegna di Cannes!
    Anche a me aveva lasciato decisamente perplesso, però avevo apprezzato la cura e la sincerità nel descrivere l'ambiente che circonda i personaggi.

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  3. Beato te Christian che hai la possibilità di vedere queste rassegne!

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  4. "Difficile da comprendere? È Lisandro Alonso."

    verissimo. è uno di quello che si amano(forse è troppo) o si evitano.

    per me c'è del fascino, c'è molto non detto, mi viene in mente uno di quei dipinti olandesi o belgi del '500 o '600, dentro il quadro ci sono mille personaggi, non sai niente del prima e del dopo, guardi.

    ecco, con "Liverpool" c'è qualcosa del genere.

    lui, poi, è un tipo che a volte dice cose su cui non sono d'accordo (http://www.youtube.com/watch?v=M4Esk8q1l78&translated=1), ma ha qualcosa da dire

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  5. L'avevo addocchiata quella intervista, ma non è che ci capisco troppo visto che lo spagnolo non è il mio forte. Anzi, se mi (ci) fai un riassunto Ismaele te ne saremmo grati :))

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  6. alcune cose che dice Alonso nel video youtube:

    “Non so se sono film lenti, nei quali non succede niente, succedono cose diverse, con un altra velocità… non so cos’è un film lento, in riferimento a cosa…i film hollywoodiani non sono film, ma modi per prendere i soldi alla gente…sono una forma di intrattenimento…un film cattivo o lento non uccide nessuno…va bene che la gente si avvicini a film di un tipo diverso da quelli che vedono alla tv…la curiosità di vedere film e cineasti diversi dura più dell’entusiasmo effimero dei film hollywoodiani…non guardo molti film perché in Argentina l’offerta è povera…la gente va a vedere i film che sono in tutte le sale e poi non va a vedere i piccoli film…la critica tratta in modo diverso i film Usa dagli altri, che non hanno nessuna pubblicità…vogliono vedere i miei film più fuori che in Argentina…la stampa argentina spinge più film di Burman o altri film commerciali, per famiglie, con poche domande, digeribili…voglio i miei film in piccoli cinema, che la gente li veda e non la consumi…non è un problema la copia pirata, basta che sia ben fatta…è al cinema che si vede bene un film, è una cerimonia…”

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  7. L'astio nei confronti del cinema americano lo posso capire. Per un piccolo regista confrontarsi con le gigantesche major a stelle e strisce è una veramente lotta impari. E anche da spettatore mi viene da dire che la factory hollywoodiana abbia abituato (male) il grande pubblico che vede nell'america la Mecca del cinema senza magari sapere che la VERA qualità non è lì, ovviamente generalizzando perché ci sono buoni film anche da quelle parti.
    Io tutto sommato mi sento abbastanza in linea con Alonso, tu da cosa divergi Ismaele?

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  8. esattamente nella generalizzazione di Hollywood, anche se la maggior parte non è altro che intrattenimento, anche molta roba buona è uscita da lì.
    i produttori fanno film per fare soldi, ma abbiamo visto cose di pregio che incassato molto, e certa volte, grazie a qualche piccola concessione sul fronte della purezza, si riesce a far passare cose importanti, che tutti possono vedere.
    poi sono questioni di interpretazione, ma per me un film come "Avatar" non è solo spettacolo, ma contiene anche molta sostanza.

    per il resto sono abbastanza d'accordo con Lisandro.

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  9. Anche il tuo discorso è assolutamente condivisibile, magari Alonso ha fatto un po' di tutta l'erba un fascio perché preso dal momento dell'intervista. Penso che anche lui è conscio del fatto che non tutto il cinema americano è come lui afferma.

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