martedì 26 ottobre 2010

Brand Upon the Brain! A Remembrance in 12 Chapters

Brand Upon the Brain! (2006) potrebbe essere un capolavoro perché consente una duplice forma di ritenzione in grado di trattenere. Cosa? Il passato nel presente.
Nella cornice diegetica questo richiamo quasi ossessivo (the past, the past, the past!) a ciò che è successo si concretizza nel lungo ricordo del Guy-uomo che costituisce l’intero film. Tutto accade due volte perché il flashback diviene l’unico modo per procedere in avanti, smembrando il passato – appare realmente così in effetti: uno spezzettamento, tagliuzzamento sconnesso – e quindi rimembrandolo si ricostruisce il presente. In maniera anche confusa, si assiste ad una continua destabilizzazione temporale: la madre invecchia e ringiovanisce più volte, il padre muore e risorge, in un labirinto dove si aggirano continuamente ologrammi lynchiani e tsukamotiani.
Fuori dal recinto diegetico, invece, la pellicola ha un aspetto datato (si tratta, riducendo, di un film muto in b/n) che però avvalendosi di un montaggio pazzesco unito ad un sonoro a volte sontuoso a volte straniante (i baci), rende il film grandemente opulento, fastoso, che investe gli occhi con la sua imponenza pur mantenendo un potente retaggio del cinema che fu.
A certificare la forza unita all’originalità che sottende l’opera basti pensare che il film alcune volte è stato presentato da Maddin “dal vivo”, ossia con un’orchestra che suonava live e una voce narrante (quella di questo film è di Isabella Rossellini, l’attrice aveva lavorato col regista canadese in The Saddest Music in the World, 2003) che si univano in sincrono alle immagini sullo schermo.

Ma Brand Upon the Brain! potrebbe essere anche del semplice (semplice?) fumo gettato nei bulbi oculari di uno spettatore quanto mai stordito dal procedere esasperato della pellicola che naviga tronfia nelle acque della maniera. Lo stile, bellissimo originalissimo ecc., non si mette granché al servizio della storia. Anzi la nebulizza disperdendone i significati, molti: ho captato messaggi politico-sociali (lo sguardo panottico della madre), psico-pedagogici (l’infanzia come tappa edificatrice o distruttrice della vita) e chissà che altro, fino a raccontare un’altra storia che viaggia esclusivamente sul binario dell’estetica.
Se io fossi Maddin andrei oltremodo fiero della mia prismatica creatura, tuttavia essendo un umile spettatore mi sono posto il dubbio se questo film sia davvero grande o una grande bischerata. E non ho trovato risposta.

3 commenti:

  1. questo m'intriga proprio...
    azz che rece, bravo!
    ciao

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  2. Non è per niente un film facile, io ho sofferto nel vederlo!
    Ciao roby!

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  3. Ottima recensione, che peraltro sottoscrivo pienamente.

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