lunedì 29 giugno 2020

Vers Madrid: The Burning Bright

Con colpevolissimo ritardo recupero Vers Madrid: The Burning Bright (2012) di Sylvain George, uno dei migliori documentaristi (anche se questa è un’etichetta che non gli calza troppo) della nostra epoca, uno sempre in prima fila, in trincea, un militante dell’immagine, un’umanista, un poeta-reporter, un regista che anche in Vers Madrid conferma la capacità di far confluire la realtà sociale e politica del nostro tempo (e poco cambia se il film in questione si occupa di episodi avvenuti quasi un decennio fa, certi smottamenti sono ciclici, vedi i gilet gialli francesi) all’interno del contenitore-cinema. Abbandonato l’avamposto di Calais da dove era germinato il dittico Qu’ils reposent en révolte (Des figures de guerre) (2010) - Les éclats (Ma gueule, ma révolte, mon nom) (2011), George si sposta nella capitale spagnola durante le proteste di maggio 2011 per riprendere la discesa in campo del Movimiento 15-M (o degli Indignados, praticamente l’antesignano del partito Podemos fondato poi nel 2014), uno dei primi, se non proprio il primo, degli slanci di protesta post-crisi 2008, e quello che il regista francese fa, in continuità con la sua precedente visione, è di calarsi come testimone oculare nel cuore della lotta, la sua mdp stringe sui volti degli attivisti captandone i pensieri progressisti e liberali oltre che il forte disappunto verso il potere politico locale, è un susseguirsi di opinioni, comizi, punti di vista, un rimpallo da un tumulto all’altro punteggiato da parentesi estatiche che mostrano specchi d’acqua (una costante nei suoi lavori), alberi, fiori e altre situazioni che apparentemente poco c’entrano con la traccia principale, eppure la forza sotterranea del cinema di George sta anche qua, nel saper sfaccettare un oggetto dannatamente riposto nel concreto con sfumature di un certo lirismo (si veda il bacio improvviso tra due manifestanti, la ragazza che suona il violino o la parentesi danzante).

Mai letterale, fazioso o ammiccante, Vers Madrid va dritto per una strada che sa di rivoluzione, veniamo sballottati dall’impeto del malcontento, dalla rabbia di chi non arriva a fine mese, e quindi anche dall’utopia perché sotto sotto sappiamo di quanto sia complicato, per non dire impossibile, scontrarsi con questa massa informe e proteiforme che risponde al nome di Sistema, e a tal proposito il film non fa sconti quando si occupa dell’altra faccia della medaglia, la negazione degli ideali prende corpo sotto le manganellate della polizia, è un risveglio traumatico che grazie a George viviamo in prima persona, è il caos che si palesa, urla, grida, colluttazioni violentissime, la tensione schizza fuori dai fotogrammi in bianco e nero, due uomini si denudano davanti ad un impassibile plotone di forze dell’ordine, purtroppo ecco la solita triste storia in cui chi detiene il potere lo esercita senza scendere a compromessi, anche in un Paese democratico nel cuore dell’Europa. E allora viene da chiedere che senso ha tutto questo? In quale modo il sacrosanto diritto delle classi medio-basse di far sentire la propria voce può scardinare la morsa elitaria? Il luccichio che brucia del sottotitolo si è poi tramutato in un incendio? Be’, forse qualcosa è cambiato visto che Podemos è diventato un partito di rilievo in Spagna, ma la percezione è che non sembra mai abbastanza, ciò, tra le altre cose, si deve all’eclissamento di una sinistra che non ha saputo più fare politica, ovvero non è più stata in grado di dare risposte ai cittadini, di programmare, e di conseguenza hanno preso piede tendenze pericolosamente nazionaliste e reazionarie. Il quadro, otto anni dopo Vers Madrid, è quello appena descritto, aspettiamo di vedere il successivo Paris est une fête - Un film en 18 vagues (2017) per misurare nuovamente con mano la temperatura di un mondo che non riesce a guarire.

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