Ci
piace così Bobby Yeah
(2011): completamente fuori di melone, viscido, malato, creepy:
ah, che bello poter posare gli occhi su della (mal)sana
artigianalità, non vorrei ripetere i discorsi fatti a proposito di
The Secret Adventures of Tom Thumb
(1993) ma c’è poco da fare, quando l’estro viene filtrato in
stop-motion si ritorna con piacere ad uno stato di meraviglia
dimenticata, se poi l’artista di turno, in questo caso è il
britannico Robert Morgan, ha un feeling particolare con il bizzarro
che, come Švankmajer
insegna, si sposa perfettamente con la tecnica del passo uno, allora il più è
fatto, non rimane che gustarci il menù-stramberie della casa, e, lo
si evidenzia, non vi è nient’altro su cui porre l’attenzione che
non sia esattamente il tasso di stranezze assemblate per costruire
una parvenza di storia, la quale, invece, almeno per ciò che
riguarda Bobby Yeah (ma
forse vale un po’ per tutti gli altri prodotti equipollenti) non si
rende memorabile. Quanto più mi soddisfa di registi come Morgan è
l’atto che compiono all’interno dello spazio cinema, sono come
dei dottor Frankenstein che unendo oggetti inanimati, pezzi di carne
o altre sostanze di sconosciuta provenienza, riescono ad insufflare
nei loro spenti corpicini un vero e proprio alito vitale che le rende
creature con un piede nel surreale (perché la normalità non ha mai
asilo) e un altro nel reale (perché nonostante tutto parliamo di
“cose” che stanno intorno a noi [se non dentro]: tessuti, fibre,
dita, peni, ma anche polpi, pupazzetti e cianfrusaglie di vario
tipo). In sintesi: una figata.
La spinta che sembra muovere in avanti il corto è quella di una
continua procreazione da parte degli esseri in scena, i
mostriciattoli generano altri mostriciattoli in un processo di
concepimento quasi trasformativo, mutante, anche se, e Morgan pare
proprio divertirsi in tale ottica, ciò che si genera non è migliore
di chi ha generato, anzi fa ancora più schifo, ed è la tendenza a
spingersi a fondo nel disgustoso che accende il fascino deviato dello
spettatore. Non si deve nascondere che l’imperante schifo appena citato si riverbera in un macabro che non ha troppo a che fare con la
morte come la parola semanticamente suggerisce, è più un
raccapriccio dalle basi ludiche, un lato oscuro del cinema animato
che, quando si schiude come le valve dei molluschi, custodisce delle
perle luminose.
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