Mai piaciuto davvero il
cinema di Peter Brosens e Jessica Woodworth, ed anche se in passato
potevo apparire morbido su certi giudizi, non è la loro proposta
quella che può soddisfare il mio palato spettatoriale, i motivi di
tale idiosincrasia si riconducono all’apparato metaforico
utilizzato dai due registi che non hanno mai mancato di rimpinzare i
propri lavori con chili e chili di simboli, allegorie, rimandi e via
dicendo, in più, sebbene siano descritti in Rete come autori dal
passato documentaristico, da Khadak (2006) in avanti hanno sì
giocato sul territorio del documentario ma intensificandolo
indisturbatamente fino a giungere ad un prodotto, e quindi non ad un
Film, bello laccato e patinato, l’esatto opposto di ciò che chi
scrive ricerca. Adesso è giunto questo King of the Belgians
(2016) e di sicuro ci si può discostare dalle premesse appena dette,
anche solo in rapporto all’opera precedente, La quinta stagione
(2012), siamo in presenza di un oggetto differente e ce ne accorgiamo
subito sul piano estetico, tanto rigoroso e geometrico era il
predecessore, quanto “libero” (le virgolette indicano che questa
non è affatto una pellicola libera, è pur sempre un protocollo di
metodi e accorgimenti datati, suvvia, il-film-nel-film!, per carità…)
è Un re allo sbando, e accade così perché B&W decidono
di affidarsi più alla realtà (si fa per dire, parliamo di un suo
surrogato al massimo) che ad una raffigurazione impostata, ergo:
abbiamo un immediato snellimento fruitivo condito da dosi non
disprezzabili di ironia.
A ben vedere anche qui si
ripropone una fondante base allegorica la cui lettura non è di
sicuro complessa: c’è l’idea di un’Europa satellitare che
cerca il congiungimento in un’Europa a sua volta divisa (la miccia
narrativa è appunto una scissione tra valloni e fiamminghi), e nella
confusione politico-geografico che regna si staglia comunque un
afflato umano che Peter e Jessica centrano come forse non erano mai
riusciti in carriera, con semplicità e senza inutili piroette. La
materia “umana” riguarda anche il soggetto principale, ovvero il
Re del Belgio, a sua volta simbolo (eh sì…) di un
potere-marionetta che trova nel viaggio (come da manuale di ogni on
the road che si rispetti) nient’altro che se stesso (ci sono
parecchi indizi che lo sottolineano fino alla frase conclusiva), vi
è, inoltre, un possibile duplice canale traslativo di storia +
attualità all’interno della diegesi, da un lato vedendo la
goffaggine del Re sembrano evidenti i richiami ad una situazione
belga dove la classe amministrante ha avuto non pochi problemi negli
ultimi anni (nel 2010 il Belgio è stato quasi un anno e mezzo senza
governo ufficiale), mentre dall’altro, osservando il percorso
dell’improbabile quartetto diplomatico partito dalla Turchia
direzione Europa è pressoché immediato pensare alle tratte della
migrazione contemporanea che tante persone ha portato in quei
territori, ed il fatto che ‘sta volta ci siano i funzionari di un
piccolo, ma ricco, Stato del Vecchio Continente è una trovata che sa
andare anche un pelo oltre la superficiale simpatia.
Come si noterà pure in
Un re allo sbando c’è dunque un substrato zeppo di
metafore, non so se ciò sia una questione da inserire tra i pregi o
meno ma se non altro, rispetto al passato, la cosa non urta troppo in
virtù dei toni meno tronfi, di contro il film ha degli evidenti
limiti, se si pensa al dispositivo mockumentary con il filmmaker
inglese allora è meglio… non pensarci perché il rischio che ci
cadano gli arti superiori è alto, e pure sullo stretto piano
sceneggiaturiale si ha l’impressione che si proceda tra momenti ok
ed altri maggiormente zoppicanti (in Serbia l’incontro casuale col
tiratore scelto è proprio forzato). In conclusione, osservando lo
spettro completo degli attributi negativi e positivi, si profila una
senzainfiamiasenzalodistica sufficienza.
Chicche intrafilmiche:
una volta in Bulgaria scorgiamo dietro il gruppo folk il monumento
sovietico di Buzludzha visto in Homo Sapiens (2016), e poco
dopo ecco comparire un gruppetto di tizi che indossano il buffo
costume peloso di Vi presento Toni Erdmann (2016).
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