venerdì 28 luglio 2017

Kano

Paul Tunge, norvegese con un lungo curriculum come assistente alla regia (lo è stato anche per Joachim Trier in Oslo, August 31st [2011], e infatti Kano [2011] potrebbe avere un tono assimilabile a quello del collega, si fa per dire, più conosciuto), ci racconta i tempi supplementari di una coppia in procinto di disgregarsi. Quello che interessa a Tunge non è tanto la sfera sentimentale in sé ma ciò che la intacca (in particolare i fattori sociali) e allora, partendo da un presupposto fondamentale per lo snodarsi della narrazione, ovvero il rifiuto nei confronti di Daniel da parte della scuola d’arte, osserviamo il protagonista girare a vuoto in una città marittima indolente e incapace di dare una svolta alla propria vita e a quella di Yvonn, tirando a campare con lavoretti alla giornata, vivendo non-vivendo in un locale vuoto e diroccato. Tutto ciò Tunge lo riversa sullo schermo con un fare para-autoriale che punta a sottrarre (pochi dialoghi, molta luce naturale) e ad astrarre (la condizione del duo che è quasi “a parte”, separata dal mondo) rifinendo qua e là il girato con brevi sequenze in stop motion dove dei disegni si creano come da soli sul set.

In suddetti termini Kano potrebbe anche avere qualche spunto di interesse, infatti la tematica della rottura, seppur inflazionata, sarebbe mitigata da un’accettabile cura formale, il punto è che il regista con l’avvicinarsi della fine indirizza il film verso un’area lontana da quella amorosa, Tunge vorrebbe mostrare la deriva mentale di Daniel che smarritosi nella sua esistenza priva di senso inizia ad assumere atteggiamenti voyeuristici sempre più gravi. Non so se nell’idea del regista vi fosse l’intenzione di suggerire qualche aggancio meta con il ragazzo dipendente dallo spy-video (e a proposito: l’amplesso con la sconosciuta è di una forzatura evidente), ma anche se fosse una tale riflessione sul vedere, su quella pulsione scopica, sulla necessità di guardare per sentirsi vivi, non innerva adeguatamente la discesa nella follia di Daniel, la quale, per di più, si propone un po’ incolore, un po’ boh, nonché sbilanciata nella costruzione dato che vediamo questa mania soltanto in un breve episodio iniziale per poi ricomparire prendendosi il palcoscenico a qualche passo dalla conclusione. Per tutta una serie di motivi Kano è un film che definirei sbrigativamente dimenticabile, al netto di un’estetica appetibile quanto resta è di un’inconsistenza preoccupante.

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