lunedì 10 luglio 2017

Pelle

Chi sono i veri mostri? La prospettiva che la stagionata e denudata entraineuse suggerisce nell’incipit è quella per cui bene o male siamo tutti dei mostri, la donna infatti dice: “l’essere umano è orribile ma non possiamo farci nulla perché l’orrore siamo noi stessi”, è un vecchio discorso, iniziato tanti anni fa dallo zio Tod (Browning) e proseguito tra ondate esploitative (John Waters) e punte autoriali più recenti (a Seidl è sempre piaciuto frontalizzare il marciume degli insospettabili), insomma chi è il mostro? Il normale o il diverso? Io oppure tu? Al dibattito si aggiunge la voce del madrileno Eduardo Casanova, uno di cui si sentirà probabilmente parlare in futuro, e non tanto per il suo fondamentale apporto al mondo del cinema che non è affatto tale, quanto per il tasso di provocazione che scalda un po’ tutta la sua carriera fatta di molti corti e dell’esordio qui sotto esame, c’è dunque un filo politicamente scorretto che lega le sue produzioni e che non poteva che approdare in Pieles (2017), un porto che si fa condensazione d’orientamento artistico: il tema del reietto ha sempre stimolato Casanova (prendete uno degli shorts precedenti e ne avrete la conferma) al pari di una messa in scena oculata nel dosaggio cromatico (idem come sopra), sembrerebbe di trovarci di fronte ad uno “stile”, ad un apparato estetico che desterà l’attenzione di molti. Ci sta, d’altronde il regista si prodiga alla grande nel rendere il canale formale più seducente possibile e quindi è plausibile che nell’osservare la fine distribuzione dei colori (il rosa confetto è quasi un’ossessione, era infatti già presente in Jamás me echarás de ti, 2016) o nell’annotare la sintassi visiva decisamente pop costellata da partentesi musicali, ci si lasci andare ad elogi forse anche meritati, si parla, però, di patina esterna, la parte maggiormente immediata e assorbibile di un film, sotto, nel catino dei significati, la zona cruciale per tutti i prodotti legati alla narrazione, che cosa bolle?

Bisogna ritornare alla domanda di partenza srotolata attraverso una coralità che lentamente rivela il proprio nucleo: non si salva nessuno, eppure in qualche modo si salvano tutti. Il depliant di mostruosità (fisiche e non) è già evidente dall’inizio: un neo-padre preferisce soddisfare le sue perversioni piuttosto che assistere alla nascita del figlio (ed il risultato di tale assenza si realizzerà tragicamente nel futuro), non è comunque un processo verso i non-freak in quanto anche la persona normale in Pelle subisce una sconfitta (il povero Ernesto piantato dalla fidanzata merrickiana) oppure sa redimersi e cerca di riparare alle azioni cattive commesse (la cameriera obesa ed il furto degli occhi-diamanti). È in sostanza il caos della vita e personalmente ho apprezzato che Casanova non si sia sbilanciato nell’apologia di una o dell’altra categoria, non sarebbe stato l’habitat adeguato del resto, Pieles essendo un impasto di registri che esacerbano la commedia fino a picchi di trash assoluto (dài, la fellatio... anale è praticamente una roba da Troma), possiede quella cifra del-non-prendersi-troppo-sul-serio-pur-dicendo-cose-sottosotto-serie che farà anche riflettere un minimo oltre l’intrattenimento sebbene quel minimo non sia sicuramente sufficiente da poter oltrepassare l’epidermide. La pelle, appunto. Ne consegue per il sottoscritto che un oggetto come questo, strutturato per infrangere le etichette della morale, divelga al massimo il piccolo recinto in cui è arginato, che è il cinema della mera rappresentazione, ci si diverte (anche se con alcuni squilibri: la vicenda della nana che dà il corpo ad un cartone animato è un po’ troppo estranea al resto) e si rispetta l’impegno di Casanova (foraggiato da de la Iglesia), divertimento e rispetto sono però due elementi che non bastano a rendere concretamente gravida una visione. Ah, si prevedono massicci accostamenti a Xavier Dolan.

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