mercoledì 19 luglio 2017

There Is No Sexual Rapport

C’è un nome accreditato come il regista di Il n’y a pas de rapport sexuel (2011), si tratta di Raphaël Siboni, videoartista francese (qui il suo sito ufficiale), ma è evidente che l’unica mente dietro tutto questo sia HPG, al secolo Hervé-Pierre Gustave, vulcanico attore/regista di intrattenimento per adulti con cammei anche in manifestazioni cinematografiche fuori, ma non completamente, dal circuito a luci rosse (si veda Baise-moi – Scopami [2000] e Le pornographe [2001]), il quale per la bellezza di dieci anni ha ripreso con una videocamera posta su un treppiedi i vari set hard delle sue scene cogliendo quello che riguardava le performance ed i correlati making of, il risultato condensato in ottanta minuti di girato si modella in un particolare trattato su ciò che lo spettatore intende come Reale. Grazie alla raffigurazione del dietro le quinte compiuta da HPG e alla messa in sequenza con una logica da parte di Siboni (il finale è proprio un finale, il signor Gustave, stremato come il suo attore, getta il film in uno scomodo silenzio), l’opera di smascheramento che contempla trucchetti e piccoli bluff ridetermina le dinamiche fruitive di colui che guarda poiché anche un territorio come questo, un territorio che si penserebbe incontaminato e dove ciò che accade è effettivamente ciò che è, si rivela invece ammantato di una finzionalità che giunge in taluni frangenti, esattamente come ci ricorda il titolo, a camuffare l’atto sessuale che nella concretezza non esiste.

Il film è rilevante sul rapporto esplorabile all’infinito tra reale e non reale, ed il fatto che venga affrontato per mezzo di un approccio pornografico non può far altro che impreziosire il substrato concettuale dell’opera. D’altronde è chiaro che la singola lettura porno-backstage è troppo deprezzante poiché di esempi del genere ne è piena la Rete, Siboni e quindi HPG fanno un passo ulteriore che è quello di interrogarci in merito alla componente mistificante del cinema e quindi della regia, della sceneggiatura, della recitazione, elementi che qui sono ridotti alla basicità ma che forse, proprio perché calati in un contesto talmente crudo da sfiorare l’essenziale, spiccano per la loro immediatezza. La metodologia di HPG è in miniatura la stessa di qualunque altro regista di fiction che dirige i suoi attori e che rigira una scena fino a quando non incontra il suo gradimento, la mano così pesante di un demiurgo che fa e disfa, la correlata Rappresentazione nemica della Realtà, la simulazione di atti e gesti (in questo caso di natura erotica) e l’apatia umana prima del ciak, sono tutte questioni aperte che seminano dubbi sul mio personale status di persona-che-guarda-film, e ben venga allora una riflessione proveniente da un campo che notoriamente non ha mai offerto nulla se non il meccanico riempimento degli orifizi del corpo umano.

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