Quanto poco ci sarebbe da
dire al cospetto di una nullità come Ta av mig (2012)!
Davvero, c’è da meravigliarsi di come un corto del genere sia
riuscito ad essere presentato al Festival di Berlino ’13, ma tant’è
è successo e l’orgoglio cinefilo che alberga in ognuno di noi non
può che urlare vendetta: quale raccomandazione avrà avuto lo
svedese Victor Lindgren per accedere alla manifestazione teutonica a
scapito di qualche suo collega più meritevole di lui? La risposta,
oltre che superflua, come è giusto che sia non interessa a nessuno, d’altronde dal quarto d’ora di Undress Me
possiamo al massimo arricchirci sul piano geometrico, è incredibile
infatti di quanto il cinema, e quindi l’arte in movimento della
contemporaneità, possa risultare a volte piattissimo e sottilissimo,
davvero stupefacente! E a questa unidimensionalità si aggiunge un
processo di imbalsamazione degno di un maestro tassidermista, si
partorisce un film già morto qui, non c’è vagito alcuno per
Undress Me: ma stiamo scherzando? Di seguito la celebrazione
del funerale.
Non potendone parlare bene
di quando era in vita perché l’esistenza (artistica) non è una
condizione che appartiene a Ta av mig, rimane la sua profonda
bruttezza in tutti i campi percorribili. Ad una banalità estetica
corrisponde il grado zero dell’intento concettuale. Non si
comprende il perché di un approccio alla transessualità come quello
di Lindgren, un’azione con modi e tempi che hanno provocato a chi
scrive un malessere fisico ed una rinnovata sfiducia verso la maggior
parte di questi personaggi che riescono a bazzicare palcoscenici
ambiti. Ad essere buoni si potrebbe vedere nel titolo un suggerimento
laterale dove dietro allo spogliarsi effettivo di Mikaela si
celerebbe l’intimità di un difficile passaggio corporale, ma ad
essere realisti quello che lo schermo ci mostra è solo un idiota che
fa domande idiote ad una tizia che ha cambiato sesso. L’atteggiamento
di Han è seriamente quello di un imbecille e probabilmente (o almeno
lo spero) Lindgren ha cercato di esasperare il modo di porsi del
ragazzo rendendolo una sorta di impersonificazione dell’uomo medio
a cui interessa vedere una fica e un paio di tette in un fisico
androgino. Il punto nodale è che non c’era il minimo bisogno di tutto
ciò, siamo al di là della prevedibilità, direttamente nell’area
della constatazione a priori, ci sono altre modalità per tematizzare
questioni del genere, e le prime che mi sovvengono da esempio sono
quelle di Lifshitz in Wild Side (2004), ma l’elenco è
ovviamente infinito e io stesso ne sono quasi totalmente all’oscuro.
Che Lindgren studi ancora va’.
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