Aiuto! Il mondo sta
sparendo.
Lavoretto svedese con
alcune pretese metaforiche: a differenza di quanto si possa pensare
in prima battuta, questo obiettivo a voler illustrare una possibile
parabola attraverso il concetto della “cancellazione” non è
nemmeno così urticante, la confezione che il regista Erik Rosenlund
offre è una sottobranca del cinema di Guy Maddin, certo c’è meno
consapevolezza del mezzo, meno tendenza ludica, meno ricerca estetica
e zero studio linguistico, però dire che il regista canadese sia una meta a cui Rosenlund ha mirato per il suo Sudd (2011) appare un’affermazione condivisibile. Constatata la lontana parentela,
rimane da cogitare sul nucleo dell’opera che vorrebbe renderci
partecipi dello scontro primordiale che caratterizza l’umanità:
abbiamo chi opprime e abbiamo chi resiste, dentro queste due istanze
si profila il senso di Sudd, un proposito nobile veicolato da
una messa in scena costellata da frammenti animati (il regista non è
nuovo all’animazione nei suoi cortometraggi) che lentamente
prendono sempre più campo. Dinanzi a noi si delinea dunque l’idea
di un male serpeggiante e pandemico, un virus che non si può
debellare e che ha una trovata abbastanza piacevole nella traslazione
teorica di una realtà divorata dal nulla, da un blob di lapis che si
appropria di tutto (degli affetti: il gatto; di noi stessi: il corpo)
e che non esita a sguinzagliare i propri agenti Smith per coronare
l’annichilente disegno.
Ma quanto desunto
proviene da un piccolo esemplare dove il cinema, quello che più
apprezziamo, latita oltremodo. Non è in un ambiente filmico del
genere che si può risultare efficaci nel trattare argomenti
universali come bene/male, no, purtroppo per Rosenlund la sensibilità
del sottoscritto, che comunque riconosce un minimo di tatto e di
intraprendenza allo svedese, necessita di più densità, meno orpelli
e più verità. Ad ogni modo onore delle armi al regista, il finale
annerente, sebbene inespresso a livello di potenziale, ha perlomeno
il pregio di non soccombere sotto un fetente happy end qualunque,
anzi la fotografia di una resa in mezzo al finimondo lascia un
percettibile retrogusto amarognolo.
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