venerdì 9 giugno 2017

Into the Silent Sea

Un ingegnere siciliano intercetta la richiesta di aiuto da parte di un astronauta russo abbandonato nello spazio.

Ultraclassicissimo cortometraggio bazzicante i territori del cinema americano firmato da un giovane svedese di nome Andrej Landin trasferitosi negli Stati Uniti per studiare alla Chapman University dove si laureerò portando come tesi proprio Into the Silent Sea (2013). Landin struttura il suo lavoro attraverso un’alternanza tra il presente e la memoria del protagonista facendo così affiorare, non senza uno smielato sentimentalismo, tracce e stralci vissuti con la bella Tanya. In odore di Malick, sensazione confermata da un’intervista al regista (link), per via del tentativo - chiaramente fallito - di liricizzare gli ultimi ricordi amorosi di Alexander, e quindi abbondano flash di Tanya ripresa dalle spalle che cammina su un prato verdeggiante battuto dal vento, e in subodore spielberghiano per via di un certo ritrattismo storico e di un’appena accennata realtà della guerra fredda che però gioca un ruolo basilare per lo sviluppo della vicenda, Into the Silent Sea, con la tendenza nel fare riferimento ai suddetti modelli, non può che rappresentare un’idea di cinema distante dagli esemplari che solitamente prendono residenza da queste parti. A Landin uno come il sottoscritto non può dire niente di costruttivo, in fondo il suo film ha tutta una propria dignità e se si pensa come opera giovanile in riferimento alla dimensione a cui tende, quella a stelle e strisce, nel piccolo recinto della medietà un oggetto del genere può starci perfettamente. Ma per me, e penso anche per voi, la visione del corto in questione può essere interessante solo per cogliere il logorio di certe grammatiche narrative ed estetiche, un’usura che finisce per appiattire istanze gigantesche come la morte e l’amore, qui ridotte al solito bigino elementare.

Nessun commento:

Posta un commento