Un ingegnere siciliano
intercetta la richiesta di aiuto da parte di un astronauta russo
abbandonato nello spazio.
Ultraclassicissimo
cortometraggio bazzicante i territori del cinema americano firmato da
un giovane svedese di nome Andrej Landin trasferitosi negli Stati
Uniti per studiare alla Chapman University dove si laureerò
portando come tesi proprio Into the Silent Sea (2013). Landin
struttura il suo lavoro attraverso un’alternanza tra il presente e
la memoria del protagonista facendo così affiorare, non senza
uno smielato sentimentalismo, tracce e stralci vissuti con la bella
Tanya. In odore di Malick, sensazione confermata da un’intervista al regista (link), per via del tentativo - chiaramente fallito - di
liricizzare gli ultimi ricordi amorosi di Alexander, e quindi
abbondano flash di Tanya ripresa dalle spalle che cammina su un prato
verdeggiante battuto dal vento, e in subodore spielberghiano
per via di un certo ritrattismo storico e di un’appena accennata
realtà della guerra fredda che però gioca un ruolo
basilare per lo sviluppo della vicenda, Into the Silent
Sea, con la tendenza nel fare riferimento ai suddetti modelli,
non può che rappresentare un’idea di cinema distante dagli
esemplari che solitamente prendono residenza da queste parti. A
Landin uno come il sottoscritto non può dire niente di
costruttivo, in fondo il suo film ha tutta una propria dignità
e se si pensa come opera giovanile in riferimento alla dimensione a
cui tende, quella a stelle e strisce, nel piccolo recinto della
medietà un oggetto del genere può starci perfettamente. Ma
per me, e penso anche per voi, la visione del corto in questione può
essere interessante solo per cogliere il logorio di certe grammatiche
narrative ed estetiche, un’usura che finisce per appiattire istanze
gigantesche come la morte e l’amore, qui ridotte al solito bigino
elementare.
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