Ho conosciuto Mark nel
2011 con Get Lost, si era appena trasferito a Portland e
viveva in una topaia insieme ad una tipa che sembrava la groupie di
qualche rock band degli anni ’70, non mi aveva detto molto della
sua vita precedente a Cleveland, a parte che suo papà tremava,
tremava sempre, ed ogni sera lui gli chiedeva se stava bene, se aveva
freddo, se voleva coricarsi, ma il padre non rispondeva, chinava la
testa sul tavolo e taceva scosso dai tremiti, ed io a queste parole
ero rimasto in silenzio, perso in altri pensieri, con la fronte
appoggiata al freddo vetro della finestra mentre in strada un barbone
spingeva la propria casa-carrello. Non so cosa abbia fatto Mark negli
ultimi sei anni, probabilmente avrà suonato in qualche
festival semideserto e alla fine di ogni concerto si sarà
fatto parecchie canne in compagnia di gente sconosciuta a cui però
avrà voluto subito bene, o forse avrà pensato di farsi
una famiglia con quella tipa sciamannata, oppure […], chissà!,
certo, quando pochi giorni fa l’ho rivisto avrei potuto
chiederglielo ma l’unica cosa che sono riuscito a dirgli è
che anche mio padre, adesso, trema tutte le sere e io non riesco a
fare nulla per impedirlo. Ha annuito con quel viso ossuto che si
ritrova, poi ha preso la chitarra per suonare un pezzo. È
stato bello, è stato emozionante, come in una poderosa
regressione visiva l’immagine di noi due seduti sul divano
sgualcito è diventata un puntino così come il palazzo
in cui ci trovavamo, al pari dell’Oregon, dell’America e della
Terra, nell’estatica sospensione del vuoto c’era solo la
ricchezza dei suoni che lievitano, la malia degli accordi che si
intrecciano, l’ipnosi delle melodie che ritornano, e i nostri papà,
due dèi che muovevano l’intero universo.
Poi, giusto un paio di
ore fa, Mark mi invia su WhatsApp questo video.
Mark McGuire –
Ideas of Beginnings
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