Osserviamo il poster:
all’interno dell’ovale si nota una variegata umanità dalla
quale emerge almeno un tratto comune: ognuno dei soggetti ivi
riportati ha una posa da perfetto imbecille, poi leggiamo sotto al
titolo la paternità dell’opera e un pochino di dubbi si
materializzano: ma come? È proprio quel Dumont lì?
Quello che faceva quei film là e a cui difficilmente si
sarebbe pensato di accostare una locandina del genere? Perché
comunque le locandine sono importanti nei circuiti di vendita,
presentano il prodotto, lo identificano, attraggono, ed è per
tale motivo che, ad esempio, le opere sperimentali non hanno bisogno di poster
poiché non necessitano di pubblico ma di persone, di esseri
umani, ed è sempre per questo che Dumont ha piazzato già
nel primo strato di Ma Loute (2016) con cui dobbiamo
rapportarci la quintessenza del film stesso, ovvero un prodotto di
marcata attorialità, di focus caricaturale, di commedia
esacerbata e a volte anche un po’ scema. Scusate le ovvie banalità
ma purtroppo nelle righe sottostanti ce ne saranno altre, e
nell’ottica esegetica non è un bel segno.
Infatti proseguiamo sulla
scorta delle ovvietà: è stato ripetuto fino allo
sfinimento che dopo Hors Satan (2011) il regista francese era
pronto ad intraprendere altre strade, e così ha fatto: Camille Claudel 1915 (2013) è stato un oggetto fin troppo
“normale” per quello che avevamo visto fino a quel momento, P’tit Quinquin (2014) ha introdotto una novità assoluta come la
vena comica con risultati alterni ma mi sento di dire più che
sufficienti, poi, all’interno di queste due pellicole si possono
rintracciare tanti segnali di stile e connessioni varie con il resto
della filmografia che sazieranno la curiosità dello
spettatore, ma ecco che si arriva a Ma loute il quale, come
giustamente riportato dalla recensione di Marco Grosoli (link), non è
altro che la somma dei titoli che l’hanno preceduto, e allora ad un
impianto poliziesco con tanto di buffa coppia investigativa mutuata
da Quinquin, si unisce la medesima epoca rappresentata di
Camille Claudel e una non dissimile caratterizzazione estetica
tra le diverse classi sociali (se ricordate Binoche-Camille si
distingueva fisicamente dalla bruttezza degli altri ospiti del
manicomio). Compiendo una tale somma algebrica le perplessità
già sorte al solo ammirare del manifesto lievitano, e se
partiamo ad analizzare il film attraverso il suo aspetto più
singolare, ovvero il suo essere commedia, il sottoscritto non è
che sia rimasto così impressionato… anche ad essere buoni e
a dire “massì, è un Autore, adesso gli è presa
così, d’altronde è libero di fare ciò che più
gli garba”, continuo – perché già in P’tit
Quinquin avevo avvertito in taluni frangenti una ruggine similare
– a non ritenere il cinema di Dumont perfettamente calzante col
registro farsesco, forse è la comunque presente ricerca di
un’artisticità a non sposarsi bene con la comicità
agognata, o forse è Dumont a non riuscire a coniugare le due
suddette istanze, non lo so, fatto è che in Ma Loute il
carico aumenta perché a tratti si sconfina nello slapstick (le
cadute della Bruni Tedeschi e del consorte, le accentature sonore
sull’obeso detective) e onestamente è l’ultima cosa che mi
sarei aspettato e che avrei voluto in un film di Bruno Dumont.
Ma vabbè, andiamo
allo step successivo che potrebbe essere quello della smaccata
contrapposizione tra i due ceti sociali sullo schermo. Anche qua non
me la sento di lasciarmi andare in elogi smisurati, sì
all’inizio è diciamo divertente
assistere ad un così netto contrasto tra le due fazioni che si
realizza anche e in particolare sul piano visivo (al di là di tutto
Dumont resta uno dei migliori scout in circolazione in merito a volti
inadatti eppure perfetti per il cinema), ma a lungo andare la
diatriba sottaciuta non ha pressoché nulla di essa. A causa di
un impianto che tende a ripetersi e in cui in sostanza la narrazione
è piuttosto ferma se si esclude il soffio romantico tra il
protagonista e la rampolla, la visione che poteva essere politica è
piuttosto un ritrattino un po’ grottesco un po’ tragico che
incide mica tanto, Dumont senza voler approfondire la butta sul
ridicolo creando delle figure paurosamente gracili sicché i
nobili sono degli idioti incestuosi mentre i poveracci sono dei
cannibali da famiglia horror americana. Trovo difficile riscontrare
un terreno davvero fertile nell’antitesi tra le due realtà,
mi chiedo cosa volesse dirci Dumont con la mise-en-scène
di uno scalino sociale come quello che vediamo e non trovo una
risposta soddisfacente, nemmeno nella disamina di Grosoli
sopraccitata, se qualcuno ha idee in proposito parli ora o taccia per
sempre.
E
giungiamo all’ultimo punto che mi preme affrontare e che risulta
essere anche il più dolente perché adesso vorrei
parlare di religione, e mi piacerebbe farlo nel modo in cui Dumont
sapeva stimolare me, e molti altri suoi estimatori, poiché in
passato l’ex professore di filosofia riusciva a trattare questioni
universali arrivando ad una trascendenza cinematografica che ti
scuoteva dentro, e l’argomentazione era così efficace perché
non c’erano intensificazioni di sorta e tutto rientrava in quel
fluire umbratile e sfavillante del sentire una visione piuttosto che
vederla, ma qui è un altro discorso in quanto in Ma loute ciò che orbita attorno
alla religiosità è proprio macchiettistico e si riduce
a qualche sproloquio della Binoche e ad una piccola processione sulla
spiaggia, non c’è, quindi, alcun alone mistico qui, se un
tempo il Miracolo di Hors Satan
toglieva il respiro proprio perché il nostro ossigeno per
osmosi filmica andava a riempire i polmoni della ragazza
resuscitante, il miracolo di questo film, oltre a non essere una
novità assoluta (ricordate i piedi di Pharaon ne L’umanità
[1999]?), è, probabilmente
con piena consapevolezza, una barzelletta, una boutade, una
cialtronata che chiude le due ore di proiezione perché in
qualche modo si doveva pur concludere.
Adesso
spero vivamente che qualcuno mi smentisca e che mi faccia comprendere
che in realtà non ci ho capito un cazzo di niente e che Dumont
resta sempre un signor Regista.
l'ho guardato ieri, sei anche troppo buono, mi sembra.
RispondiEliminapiù un esercizio di stile che altro, direi.
Non so se sia un discorso di aspettative, nel senso che uno da Dumont si aspetta dell'altro, ma, sintetizzando di brutto, mi sento di ribadire che da umile spettatore io voglio molto ma molto di più. In fondo Ma Loute è una rimodulazione di P'tit Quinquin priva di personaggi con appeal e onestamente non mi va bene, non a caso è stato distrubuito nelle sale e la distribuzione è spesso una cartina tornasole delle qualità dell'opera.
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