E venne la notte in cui
le case si staccarono dalle loro fondamenta per fluttuare nel cielo
stellato con i cavi e le tubature penzolanti nell’atmosfera come i
tentacoli trasparenti delle meduse, sotto, in picchiata, Jahzara,
Shakina o Zwena si incamminava su per la salita in mattoni neri,
lavici, dove ai lati il mondo era svanito in tenebrosi pannelli di
buio dai quali provenivano stridii e fruscii provocati dalle
gigantesche torri di scarafaggi che con le loro corazze oleose si
sfioravano per cigolare tutti insieme, folli e brulicanti, e lei era
sola, come sempre, mentre sua nonna, migliaia di chilometri più
a sud, come sempre, si era appena svegliata e ingoiata una manciata
di riso freddo e appiccicoso avanzato dalla sera prima aveva preso il
tamburo per sedersi fuori dalla capanna, un motorino scoppiato, un
cane trizampe, e via a percuotere la superficie dura e laida in modo
che i battiti sulla membrana fossero gli stessi battiti cardiaci
della nipote lontana: TU-TUMP/TU-TUMP, Aisha, Najya o Huma proseguiva
a piccoli passi con le mani giunte sulla pancia sferica, tesa fino
all’inverosimile, e lucida: era nuda: non era più niente.
Fuochisti, Blatte marroni, Blatte americane, Blatte fischianti,
Scarabei, Ontofagi, Cetonie dorate, Trichi fasciati, Cervi volanti.
Era una ragazzina con un tesoro da donna nella pancia, forse un
grosso insetto coprofago, forse una creatura celestiale, forse chiuse
gli occhi e continuò a salire.
TU-TUMP/TU-TUMP
Si erano conosciuti in un
Cpsa di Lampedusa, di Ragusa o di Agrigento, lui le aveva offerto un
chewingum lei non sapeva nemmeno cosa fosse, non era bello, pensava,
però era bello, e la sera stessa si ritrovarono soli nel
magazzino del Centro che era diventato il centro del loro piccolo e
derelitto universo: si avvicinarono e scoprirono di non avere un buon
sapore perché entrambi: bevvero dell’acqua putrida alla
periferia di Tripoli, dormirono in una specie di stalla al confine
con la Serbia o mangiarono del pollo avariato ai bordi di una
ferrovia vicino a Nairobi, ma non importava, le loro lingue si
contorcevano già, rumori e ricordi lontani si mischiavano
ovattandosi al di là della bolla impenetrabile che racchiude due
persone che stanno per scopare (hal habeen laba nin oo guriga soo
galeen oo aabbahay gowracay indhahayga hortooda, ډینس
تل زما په زړه وي o li gundê li ser agir bû
û heta niha jî gewriya sazîyên şewitandin
hîs), non si chiesero neanche il nome perché, di nuovo,
non importava, e mentre lui stringeva il suo seno come se stesse
strizzando un pugno di farina, la nonna lontana cominciava la sua
musica ancestrale che poteva viaggiare nello spazio, un flusso
ritmico attraversò in cielo il Nordafrica, il Medio Oriente o
i Balcani per tuffarsi nel cuore della ragazza che percepiva
l’invasione maschile nel suo corpo, le dita, gli aliti, i morsi,
gli odori, i sessi a contatto, non c’era nient’altro, in quel
momento, che non fossero se stessi impegnati a ricercarsi
egoisticamente nell’altro (poiché, così come
secondo il mandala cinese dello yin e dello yang le tenebre si
trovano al centro della luce, allo stesso modo per parte sua il
cervello dell’uomo contiene un utero, una caverna, una pianta
carnivora le cui profondità sono carnose e fumanti, e per
tutta la vita cerca di accedervi, di fare l’amore con se stesso per
incontrare se stesso al di là del sesso e del destino, nel
puro regno dal quale tutti siamo venuti [1]). Quando finirono lei
rimase stesa sulla panchetta da spogliatoio immobile, esausta, e
quella goccia di sperma che le colava giù dall’interno
coscia divenne la lacrima che rigava la guancia rugosa della nonna.
Il giorno dopo lui fu trasferito in un altro Centro e non si rividero
mai più.
TU-TUMP/TU-TUMP
Adesso era finalmente
arrivata in cima, il grembo era lievitato e gli spasimi che avvertiva
la obbligarono a stendersi sul bordo della salita, dietro di lei un
vento raggelante le portava il rumore del buio, che era, nello
specifico, il laborioso pullulare scarafaggesco, ma Rabab, Klea o
Sarah non possedeva nemmeno più la forza di stare in piedi e
supina, con le gambe divaricate, lasciò che i dolori
lancinanti che le scuotevano l’anima la soffocassero nelle
tribolazioni del parto, e così non si accorse nemmeno che
delle mani invisibili stavano per accogliere la nascita, le stesse
mani che la nonna muoveva incomprensibilmente nell’afa della
capanna, e la ragazza urlò: dentro di sé avvertì
un crampo ammutolente, una contrazione di ogni più piccola
cellula nervosa, e totalmente smarrita in un cerchio di fitte e
insetti minacciosi, avvertì appena che un liquido caldo
iniziava a bagnarle gli adduttori e che ad ogni spinta, anche
involontaria, ad ogni respiro, qualcosa all’interno di lei premeva
con una forza mai provata prima e contemporaneamente sentiva che non
avrebbe potuto fare niente: che ora, in un secondo che custodisce
l’eternità, un piccolo cranio spelacchiato le dilatava
l’orifizio vaginale, e lei si dissolveva nella solitudine materna
di ogni gestazione mammifera e la nonna si accucciava per terra
accarezzando una fronte immaginaria cadenzando mentalmente il suono
del Grande Tamburo della Vita, e ad ogni TU-TUMP/TU-TUMP un
centimetro della piccola testa insanguinata veniva alla luce, e piano
piano il corpicino violaceo fu espulso, sputato, scagliato fuori:
eccola lì, una polpetta umida di carne e ossicine che la
ragazza, la piccola donna, si ritrovò a cullare tra le
braccia, e madre e figlio piangevano all’unisono insieme alla
povera nonna sfiancata dal travaglio a distanza, era paura e
felicità, smarrimento e preoccupazione, ed anche se il neonato
non poteva ancora abbracciare la mamma, lei si sentì protetta
e avvolta da un tepore che la fece sprofondare in un sonno dolce; al
risveglio un’enorme ala piumata li cingeva entrambi e l’assedio
dell’oscurità lasciava filtrare il chiarore delle albe
estive ed ognuno degli scarafaggi che prima si accapigliava
freneticamente alle loro spalle adesso si era trasformato in un
bellissimo angelo. Jeliel, Sitael, Aladiah, Hariel, Melahel, Omael,
Aniel, Mebahiah, Mitzrael, Umabel, Rochel. Allora la Madre alzò
la testa e vide che le case stavano ritornando alle proprie
fondamenta sospinte dal fiato degli angeli che soavi danzavano
nell’aria, e così, stringendo ancora più a sé
il piccolo, si rivolse all’essere vicino a lei ma non riuscì
a dire nulla perché il volto era un sole che l’occhio umano
non poteva guardare, fu dunque Esso che, con una voce contenente
tutte le voci della Terra, chiese: “come lo chiamerai?”
E lei rispose: “Richard”.
TU-TUMP/TU-TUMP/
TU-TUMP/
TU-TUMP
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[1] Mircea Cărtărescu,
Abbacinante. L’ala sinistra; Voland 2008)
checkka la mail, il coniglio pasquale ha lasciato una sorpresa :D
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